Il Capitale umano è un film il cui spunto di riflessione é
posto, come episodio, all’inizio del film e come conclusione annotativa alla
fine, in mezzo sono i singoli personaggi a essere nuclei narrativi, uniti tra di
loro da interconnessioni socio-economiche.
Si svolge in un ricco paese della Brianza, ville sontuose
proteggono ricchi finanzieri, villette
spocchiose ne fanno da corte medievale, il degrado culturale è rappresentato
dall’abbandono dell’unico teatro presente; è tratto da un romanzo, con lo
stesso titolo, dell’americano Stephen Amidon le cui ambientazioni, naturalmente,
sono negli USA e precisamente nel Connecticut, dando alle problematiche sociali
e umane del film una connotazione più ampia e “globalizzata”: il sogno americano ha travalicato l’oceano e
ha inquinato il resto del mondo.
L’intreccio del film, articolato in parti che si sovrappongono
l’una all'altra nella tensione di svelare la dinamica dell’accadimento
iniziale, ci mostra un’umanità diversificata nei singoli protagonisti che, con
ruoli e atteggiamenti diversi, vengono travolti da un sistema sociale basato
sul consumismo, sulla ricchezza ottenuta
con la frode fiscale, sulla monetizzazione
dei desideri e delle aspettative delle persone, sulla secondarietà di valori
quali la comprensione, l’onestà pubblica e privata, la solidarietà tra
individui, sulla impossibilità di realizzazione personale al di fuori di schemi
opportunistici falsamente individuati
come i soli possibili da un sistema educativo e culturale che ha perso
cognizione dei valori della vita e della convivenza.
La “famiglia ricca”:
Il riccone, manipolatore finanziario di patrimoni e vite
altrui, cinico, privo di empatia, di senso civico e di umanità, profittatore di
ingenuità altrui per il suo unico tornaconto, gestisce la sua vita e la sua
famiglia senza partecipazione ma elargendo frivolo benessere materiale.
La moglie, ex attrice, sembra fluttuare nella ricchezza
inconsapevole di se stessa, insoddisfatta, incapace di vera autonomia,
prigioniera della sua gabbia dorata, triste senza quasi sapere il perché.
Il figlio, adolescente potenziale alcolista, combattuto tra
l’emulazione e la fuga, vive trangugiando alcool e trasudando rabbia, cercando
affetto e comprensione al posto di soldi e indifferenza, ricercando un senso
che riempia il vuoto esistenziale non solo presente ma anche futuro.
La “famiglia media”:
L’immobiliarista, goffo nella sua ingenua sudditanza mentale
al potere della ricchezza, si gioca tutto pur di entrare in quell'ambiente da
cui, una volta dissanguato di contante, viene mal sopportato e trattato con
sgarbo e sufficienza. Si ritrova ad avere il coltello dalla parte del manico
nel momento drammatico e la doppiezza del personaggio si concretizza
bizzarramente in una vigliaccata che ha comunque un onestà di fondo, in un certo senso ristabilisce la realtà dei
fatti e risana, anche se illegalmente, il torto subito senza richiedere nulla
di più di quello che gli sarebbe spettato.
La moglie lavora nel sociale, sembra essere l’unica ad
avere una vita veramente positiva, forse non felice ma con una buona dose di
serenità, in pace con la propria coscienza e con se stessa; dà e riceve affetto
e comprensione, si pone al di fuori dell’ingranaggio potere-ricchezza, gratifica
ed è gratificata dai rapporti umani e dalla sua tardiva gravidanza, riuscendo a
stabilire un rapporto empatico di affetto e complicità con la figlia del
marito.
La figlia, adolescente in bilico sulla “linea d’ombra”,
rifiuta un mondo di meschinità e falsi valori, capace di riconoscere l’autenticità
delle persone, va al di là delle convenzioni e regole sociali pur di prendersi cura delle debolezze e fragilità di chi ama.
La “mezza famiglia”:
Zio e nipote convivono, il loro ambiente è borderline, il primo
è un piccolo malavitoso, il secondo un ragazzo che sconta drammaticamente i
disagi della marginalità che la vita gli
ha riservato e, come spesso accade in questi casi, si ritrova vittima di un
vortice che non gli permette una via d’uscita se non nel tentare la morte.
Il “capitale umano”:
Non è solo tutto quello descritto sopra in termini di
potenzialità positive e negative, ma è il personaggio che apre il film ridotto in
cifre, secondo un cinico calcolo monetario.
Il fraseggio del film è serrato, la narrazione è distaccata,
non ammorbidita dalla speranza di un ripensamento globale, è quasi un’oggettiva
trasposizione cinematografica del presente e, con le inevitabili differenze, è fedele, come ammesso dallo stesso Amidon, al libro rispecchiandone nel merito e nello stile il contenuto.
Regia: Paolo Virzì
Interpreti: Valeria Golino, Valeria Bruni Tedeschi, Fabrizio Bentivoglio, Fabrizio Gifuni, Luigi Lo Cascio
Interpreti: Valeria Golino, Valeria Bruni Tedeschi, Fabrizio Bentivoglio, Fabrizio Gifuni, Luigi Lo Cascio
Come sai, ancora il film non l'ho visto, ma ho letto diversi parere, anche molto contrastanti fra loro. Mi sembra che la tua recensione abbia una profondità che non ho riscontrato in altre. Brava, Maria, quando vedrò il film potrò confrontare le nostre impressioni.
RispondiEliminaMilvia
Grazie Milvietta, aspetto che tu veda il film per confrontare le impressioni, cosa sempre utile per scovare nuove considerazioni e allargare il punto di vista,
Eliminaun abbraccio cara
Maria
Ottima recensione, Maria. Ho visto il film ieri pomeriggio e ne sono rimasta molto colpita. Molto diverso dagli ultimi film di Virzì è una denuncia molto incisiva delle aberrazioni morali a cui ci stanno portando il consumismo e la crisi dei valori della nostra epoca. Il ritmo è serrato, privo di sbavature, trasmette angoscia, malessere, preoccupazione per il futuro. Si conclude con uno spicchio di speranza, i due giovani che in carcere si parlano e si sorridono sono l'unica possibilità per un futuro diverso... Luciana
EliminaCara Luciana, grazie per l'apprezzamento e per il commento, fa piacere trovare riscontri su impressioni avute a proposito di qualcosa che stimola pensieri e riflessioni,
RispondiEliminaun abbraccio :-)
Maria