giovedì 13 febbraio 2014

Nebraska, il bianco e nero della provincia americana


Il film scolpisce in bianco e nero la provincia americana, l’immobilità e il silenzio di alcune scene sembrano foto e contrastano il continuo movimento di un tipico film “on the road”.
Un uomo anziano, Woody,  che vive nel Montana, riceve un volantino pubblicitario che lo invita a riscuotere un premio di un milione di dollari a Lincon, Nebraska. A tutti è evidente che è una balla, un modo per vendere abbonamenti ad alcune riviste, solo per lui è qualcosa di reale, forse  l’ultimo desiderio realizzabile della sua vita, una prospettiva di gioia che non assaporava da tanto, troppo tempo.
Nessuno gli dà credito e lui imperterrito tenta di partire più volte, anche a piedi,  la patente gli è stata ritirata, ma viene sempre ripreso o dai figli o dalla polizia fino a quando uno dei due figli, David, non decide di accompagnarlo, iniziando così il viaggio.
Il viaggio in America è qualcosa di più di un semplice spostamento, è elemento costitutivo della cultura e del carattere di quel popolo; ha le sue radici nella conquista del territorio, nel superamento delle varie “frontiere” che di volta in volta si ponevano come limiti all’avanzata dei coloni verso la “terra promessa”, verso la realizzazione del sogno americano,  verso la libertà dalle oppressioni e dalla povertà della terra di origine.
Esso stesso diventa simbolo di libertà, anche senza frontiere da superare se non all’interno di se stessi; lo spazio immenso che si attraversa dilata lo sguardo, allenta le restrizioni materiali e mentali, spezza i legami con una quotidianità che si ripete ogni giorno uguale e con gli obblighi a essa connessi; il ritmo rallenta, anche se la velocità di movimento aumenta, la temporale metodica scansione della vita perde la sua necessità.


Figlio e padre attraversano tre stati, ma non si muovono solo orizzontalmente sull’ampio spazio delle Great Plains, compiono anche un viaggio in profondità , un itinerario di conoscenza individuale e reciproca;  la lunga sosta nel paese natale di Woody, da cui riemergono suoi spaccati di vita passata, svelerà a David cose mai dette dal padre.
L’anziano è un uomo con ferite interiori dovute alla guerra in Corea, è un uomo generoso, con i vizi tipici di chi vive nella desolazione culturale della provincia, messo alla prova da un rapporto di coppia che fa della recriminazione continua il filo conduttore delle giornate, con una moglie che comunque, pur volendolo rinchiudere in una casa di cura, avrà il coraggio di difenderlo dai meschini attacchi della famiglia a cui oppone la dignità e le doti umane del marito e che sarà capace di gesti di amorevolezza quando lui sarà ricoverato per un malore. E’ un uomo verso la fine della vita, che si vede scivolare i giorni uno dietro l’altro, come i chilometri che percorrerà con il figlio, e che cerca un finale “diverso” in quella promessa di “vincita”a cui tende con ostinata volontà, anche se, forse, lui stesso sa che è solo una banale truffa.

David lavora in un negozio, la donna con cui viveva se ne è andata, anche lui è limitato dall’ambiente in cui vive ma se ne distacca per un profondo senso di pietà umana, di comprensione ed empatia che manifesta nei confronti del padre; la sua condiscendenza  verso di lui non è una mera resa ai suoi capricci, ma voglia di capire e di alleviare tristezze, esaudire, per quanto possibile, i suoi desideri. Lo accudisce quando ce ne è bisogno, lo rialza quando cade, ma, soprattutto, gli parla, si confida, gli fa domande; quando si inginocchia di fronte a lui seduto sugli scalini non sono solo un padre e un figlio ma due esseri umani, uno più forte per gli anni che ha davanti l’altro più debole per gli anni che ha dietro di sé, che si incontrano, che si aiutano, che instaurano una complicità anche nella condivisione dei loro vizi, delle loro debolezze facendone dei punti di forza del loro “incontro”.

I dialoghi tra loro due sono comunque scarni ma sufficienti allo scopo e si distaccano come perle a confronto delle conversazioni di coloro che incontrano, parenti e non, che se non sono "arricchite" da parole di scherno, opportunismo e banalità, manifestano una povertà di comunicazione tale da far pensare a una ottusità mentale ed emotiva al limite dell’umanità.

Il bianco e nero del film vuol forse sottolineare la mancanza di colori nella vita dei protagonisti, nella vita della provincia americana e nel futuro di chi futuro ne ha ancora poco, ma in qualche modo, alla fine del film, la tenerezza di David verso Woody riuscirà a colorare materialmente e affettivamente la vita di quest’ultimo.



Regia: Alexander Payne
Sceneggiatura: Bob Nelson
Interpreti: Bruce Dern, Will Forte, June Squibb, Bob Odenkirk, Stacey Keach

sabato 25 gennaio 2014

"Il capitale umano" dall'America all'Italia attraverso Virzì




Il Capitale umano è un film il cui spunto di riflessione é posto, come episodio, all’inizio del film e come conclusione annotativa alla fine, in mezzo sono i singoli personaggi a essere nuclei narrativi, uniti tra di loro da interconnessioni socio-economiche.

Si svolge in un ricco paese della Brianza, ville sontuose proteggono ricchi finanzieri,  villette spocchiose ne fanno da corte medievale, il degrado culturale è rappresentato dall’abbandono dell’unico teatro presente; è tratto da un romanzo, con lo stesso titolo, dell’americano Stephen Amidon le cui ambientazioni, naturalmente, sono negli USA e precisamente nel Connecticut, dando alle problematiche sociali e umane del film una connotazione più ampia e “globalizzata”:  il sogno americano ha travalicato l’oceano e ha inquinato il resto del mondo.

L’intreccio del film, articolato in parti che si sovrappongono l’una all'altra nella tensione di svelare la dinamica dell’accadimento iniziale, ci mostra un’umanità diversificata nei singoli protagonisti che, con ruoli e atteggiamenti diversi, vengono travolti da un sistema sociale basato sul consumismo, sulla ricchezza ottenuta  con la frode fiscale,  sulla monetizzazione dei desideri e delle aspettative delle persone, sulla secondarietà di valori quali la comprensione, l’onestà pubblica e privata, la solidarietà tra individui, sulla impossibilità di realizzazione personale al di fuori di schemi opportunistici  falsamente individuati come i soli possibili da un sistema educativo e culturale che ha perso cognizione dei valori della vita e della convivenza.

La “famiglia ricca”:
Il riccone, manipolatore finanziario di patrimoni e vite altrui, cinico, privo di empatia, di senso civico e di umanità, profittatore di ingenuità altrui per il suo unico tornaconto, gestisce la sua vita e la sua famiglia senza partecipazione ma elargendo frivolo benessere materiale.

La moglie, ex attrice, sembra fluttuare nella ricchezza inconsapevole di se stessa, insoddisfatta, incapace di vera autonomia, prigioniera della sua gabbia dorata, triste senza quasi sapere il perché.

Il figlio, adolescente potenziale alcolista, combattuto tra l’emulazione e la fuga, vive trangugiando alcool e trasudando rabbia, cercando affetto e comprensione al posto di soldi e indifferenza, ricercando un senso che riempia il vuoto esistenziale non solo presente ma anche  futuro.

La “famiglia media”:
L’immobiliarista, goffo nella sua ingenua sudditanza mentale al potere della ricchezza, si gioca tutto pur di entrare in quell'ambiente da cui, una volta dissanguato di contante, viene mal sopportato e trattato con sgarbo e sufficienza. Si ritrova ad avere il coltello dalla parte del manico nel momento drammatico e la doppiezza del personaggio si concretizza bizzarramente in una vigliaccata che ha comunque un onestà di fondo,  in un certo senso ristabilisce la realtà dei fatti e risana, anche se illegalmente, il torto subito senza richiedere nulla di più di quello che gli sarebbe spettato.

La moglie lavora nel sociale, sembra essere l’unica ad avere una vita veramente positiva, forse non felice ma con una buona dose di serenità, in pace con la propria coscienza e con se stessa; dà e riceve affetto e comprensione, si pone al di fuori dell’ingranaggio potere-ricchezza, gratifica ed è gratificata dai rapporti umani e dalla sua tardiva gravidanza, riuscendo a stabilire un rapporto empatico di affetto e complicità con la figlia del marito.

La figlia, adolescente in bilico sulla “linea d’ombra”, rifiuta un mondo di meschinità e falsi valori, capace di riconoscere l’autenticità delle persone, va al di là delle convenzioni e regole sociali pur di prendersi cura delle debolezze e fragilità di chi ama.

La “mezza famiglia”:
Zio e nipote  convivono, il loro ambiente è borderline, il primo è un piccolo malavitoso, il secondo un ragazzo che sconta drammaticamente i disagi  della marginalità che la vita gli ha riservato e, come spesso accade in questi casi, si ritrova vittima di un vortice che non gli permette una via d’uscita se non nel tentare la morte.

Il “capitale umano”:
Non è solo tutto quello descritto sopra in termini di potenzialità positive e negative, ma  è  il personaggio che apre il film ridotto in cifre, secondo un cinico calcolo monetario.


Il fraseggio del film è serrato, la narrazione è distaccata, non ammorbidita dalla speranza di un ripensamento globale, è quasi un’oggettiva trasposizione cinematografica del presente e, con le inevitabili  differenze, è fedele, come ammesso dallo stesso Amidon, al libro rispecchiandone nel merito e nello stile il contenuto.

Regia: Paolo Virzì
Interpreti: Valeria Golino, Valeria Bruni Tedeschi, Fabrizio Bentivoglio, Fabrizio Gifuni, Luigi Lo Cascio