venerdì 15 giugno 2018

La ferrovia sotterranea



La ferrovia sotterranea è stata, durante il secolo XIX, una rete clandestina di percorsi e rifugi per permettere agli schiavi di fuggire dal sud al nord dove la schiavitù era già stata abolita. Venne definita così perché la terminologia che la individuava venne presa in prestito dal linguaggio ferroviario: i luoghi di sosta, per esempio, erano chiamati stazioni, coloro che li presidiavano capi stazione . La hunderground railroad, nel libro di Colson Whitehead, diventa una ferrovia sotterranea reale, che scorre in tunnel scavati nella terra dagli abolizionisti; è così che l'autore l'aveva immaginata da bambino, quando gliene parlavano, e quel ricordo gli ha dato spunto a elaborare un espediente narrativo sorprendente ed efficace.

Il romanzo, ambientato a metà dell'800 prima della guerra di secessione, racconta la fuga dalla piantagione della giovane schiava Cora, della sua fermezza  nella ricerca della libertà, del suo coraggio a perseverare nonostante gli ostacoli, della sua giusta ostinazione a riconoscersi ed affermarsi come essere umano e non come oggetto, della sua crescita identitaria.  A lei si oppone, con la stessa fermezza, Ridgway, cacciatore di schiavi, che fa della sua stessa determinazione quasi una filosofia di vita in cui i principi a cui si ispira sono sintetizzati nella definizione "Destino manifesto" che lui spiega a Cora in questo modo: "Significa prenderti ciò che è tuo, quello che ti appartiene, qualunque cosa pensi che sia. E tutti gli altri se ne stanno ai loro posti assegnati per permetterlo. Che siano i pellerossa o gli africani, devono arrendersi, sacrificarsi, in modo che noi possiamo ottenere ciò che ci spetta di diritto... A mio padre piaceva fare i suoi discorsi da indiano sul Grande Spirito», proseguì Ridgeway,  «Ma dopo tutti questi anni, io preferisco lo spirito americano, quello che ci ha fatti venire dal Vecchio Mondo al Nuovo, a conquistare, costruire e civilizzare. E distruggere quello che va distrutto. A elevare le razze inferiori. Se non a elevarle, a sottometterle. Se non a sottometterle, a sterminarle. Il nostro destino prescritto da Dio: l’imperativo americano».   Parole che ben delineano  anche il concetto di "libertà americana" e che è in evidente contraddizione con la libertà di Cora.

 La scelta di una giovane donna come protagonista marca una ulteriore discriminazione, anche all'interno della stessa comunità afro-americana, individuando una "linea di genere", oltre a quella di colore concettualizzata da W. E. B. Du Bois , che attraversa la storia e le società.




Nella prima parte del libro l'autore ci descrive la vita dello schiavo, quale essa era veramente, sottoposta ad un quotidiano annichilimento ottenuto con il terrore, dove, qualsiasi cosa fosse ritenuta arbitrariamente un affronto al padrone, era punita con una inaudita ferocia che si abbatteva sugli adulti e sui bambini; non erano considerati essere umani, neanche animali ma oggetti con la differenza che l'oggetto schiavo provava dolore psichico e fisico, fonte di maggiore potere e soddisfazione per chi sistematicamente li distruggeva.

Dal momento della fuga di Cora, Whitehead inserisce il realismo magico con l'invenzione di una vera ferrovia sotterranea con rotaie, stazioni e treni, cosa che gli permette di cambiare le regole del racconto, di allontanarsi da uno stretto realismo storico della narrazione e di inserire alterazioni anacronistiche di riferimenti storici.

Questo espediente e la narrazione in terza persona (anche se dal punto di vista di Cora) gli permettono di allargare lo sguardo su una realtà che trascende il periodo contemporaneo alla storia, anticipando le leggi di segregazione emanate dopo la guerra civile, i grattaceli dell'urbanizzazione, la sterilizzazione di fine ottocento, gli studi sulla sifilide degli anni 30 e 40 del novecento, portandoci in avanti col tempo durante il quale il razzismo non è mai finito, il razzismo alla base della schiavitù si trasforma nella forma ma continua nella sua essenza discriminatoria fino ai nostri giorni. E' inevitabile, per chi legge, pensare a Obama e a come i bianchi statunitensi abbiano risposto con l'elezione di Trump.

Cora percorre la sua strada di fuga attraverso gli stati, spostandosi verso il nord antischiavista; incontrerà ipocrite solidarietà che mascherano più sottili soprusi, persone sinceramente impegnate a restituire agli schiavi una umanità e una possibilità di vita dignitosa che verranno definite "amici dei "negri" e come loro punite, si scontrerà con modi e forme diverse di razzismo, di sopraffazione, di violenze. Tutto ciò renderà il "nord" irraggiungibile, non come luogo fisico a cui alla fine giungerà, ma come il simbolo di libertà, non esiste un "nord" per gli schiavi, per gli afro-americani, in nessuna parte degli Stati Uniti, il nord non è mai abbastanza nord perchè il razzismo è ovunque sotto forme diverse.

La ferrovia sotterranea che scorre in tunnel neri senza luce, nel romanzo di Colson, diventa metafora di più cose: la clandestinità in cui i bianchi abolizionisti dovevano agire; il nero della pelle degli schiavi; il nero del cuore di tenebra che anima i bianchi razzisti, il nero abisso della coscienza americana.

Uno dei capistazione che incontrerà Cora nel suo viaggio le dirà:" Se volete vedere come è fatto questo paese, io lo dico sempre, dovete prendere il treno. Mentre andate a tutta velocità guardate fuori, e vedrete il vero volto dell'America". Più avanti nella narrazione, quasi a rispondergli in differita, memore di quelle parole e più consapevole della realtà, Cora penserà: "Era tutto uno scherzo...fin dall'inizio" e  Whitehead continua: "Nei suoi viaggi, fuori dal finestrino, c'era solo il buio, e solo quello ci sarebbe sempre stato".

Il romanzo, fuoriesce dalla tradizione biografica dello schiavo fuggiasco, come già Toni Morrison aveva fatto e non solo lei, universalizza il problema usando la finzione narrativa, e coinvolge più intensamente il lettore che si trova di fronte a un dramma umano e sociale che non ha mai trovato una giustizia storica all'interno del contesto nazionale in cui si è sviluppato - come pure ci racconta  Ta-Nehisi Coates nel suo "Un conto ancora aperto" - né, di conseguenza, è stato ancora risolto.

L'autore fa dire a uno schiavo liberato:"... l’America è un’illusione, la più grande di tutte. La razza bianca crede – ci crede con tutto il cuore – che sia suo diritto impadronirsi della terra. Uccidere gli indiani. Fare la guerra. Mettere in catene i propri fratelli. Questa nazione non dovrebbe esistere, se ci fosse giustizia a questo mondo, perché le sue fondamenta sono l’omicidio, il furto e la brutalità. Eppure siamo qui."

Ma anche noi tutti siamo qui, in questo mondo, e continuiamo ad assistere a nuove schiavitù, a nuovi orrori, a continue discriminazioni e violenze.
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"Se mi conficchi un coltello nella schiena per ventitré centimetri e ne tiri fuori quindici, non c'è stato un miglioramento. Se lo tiri fuori del tutto non c'è stato un miglioramento. Il miglioramento è curare la ferita che il colpo ha causato. E loro non l'hanno neanche tirato fuori il coltello, neanche a parlarne di curare la ferita. Loro non ammetterebbero neanche l'esistenza del coltello" (Malcolm X)





https://youtu.be/Wl3CLxzMSEA

martedì 17 aprile 2018

I segreti di Wild River








I segreti di Wild River è un film che si presenta come un thriller e che al suo interno contiene ben più di una trama tesa all'individuazione dei colpevoli di un omicidio.

Lo sceneggiatore e regista, Taylor Sheridan, ha voluto con questo film chiudere la sua trilogia sulla frontiera, dopo Sicario, ambientato al confine con il Messico e Hell or High Water ambientato in Texas ( di questi due ne è stato solo lo sceneggiatore) ha dislocato il suo film in una riserva indiana, individuando una "frontiera" che non è più limite, fisico e metaforico, da superare, ma ristagno di problematiche sociali e di marginalità estreme.

Una ragazza nativa americana della riserva di Wild River in Wyoming viene ritrovata morta per assideramento dopo essere scappata da una violenza di gruppo . Trova il suo corpo Cory Lambert, un cacciatore di animali predatori che mettono a repentaglio gli allevamenti della zona. La ragazza è la figlia di un suo amico, e, se ce ne fosse bisogno,  ravviva il suo dolore per la perdita di sua figlia avvenuta in circostanze analoghe.  La vittima è un "indiana" e la sua morte non interessa: è una delle tante donne native scomparse senza che gli apparati giudiziari se ne siano mai preoccupati, non esiste neanche una statistica che ne segnali il numero, a differenza delle altre donne americane. Per risolvere il caso viene mandata dall' FBI una agente di primo pelo, inesperta anche se determinata a fare il suo lavoro che chiederà a Cory di aiutarla nelle indagini.

La riserva è un luogo isolato e abbandonato dalle istituzioni, stretto tra monti perennemente innevati e battuto da tempeste di neve e da un freddo feroce. La vita lì non ha speranze di crescita, droga e violenza suppliscono  la mancanza di aspettative e una coabitazione tra nativi e bianchi riproduce spesso le contraddizioni mai risolte del razzismo americano. A questo quadro di desolazione non corrisponde un adeguato apparato che riesca a contenere e indirizzare socialmente il disagio degli abitanti della riserva che, privati della loro identità culturale, inseriti in un contesto naturale estremo, non riescono tutti a costruirsi una vita di relazioni sane e autentiche, alcuni soccombono a un abbrutimento senza speranza di riscatto.

Le tematiche convergono nel personaggio di Lambert, bianco sposato con una nativa, interpretato egregiamente da Jeremy Renner: l'impossibilità di fare pace con un dolore penetrante e assoluto come la perdita di un figlio che si può solo accettare e non combattere; l'amore per una natura ingrata ma magnificente; l'assurdità della divisione delle persone per genere e "colore" e il conseguente annullamento del rispetto a loro dovuto come esseri umani; un senso di giustizia che sa di vendetta ma che è l'unico modo per ristabilirla, la giustizia, in un luogo sprovvisto degli apparati utili ad amministrarla e che, se anche ci fossero, non sarebbe certo un suo esercizio equo.

Il film, dotato sia di una sottile ironia che di una giusta dose di cinismo, ha la forza lenta dei vasti paesaggi innevati, delle foreste coperte da un bianco assordante e gelido, la potenza di personaggi autentici contro la pochezza e la vigliaccheria di coloro che risolvono il loro disagio con la prevaricazione e la violenza sugli gli altri quando questi si trovano indifesi.




Ha l'impronta della cinematografia  western "revisionista", Cory rappresenta l'eroe, quello vero, che sfida la natura conscio della sua inferiorità, che sopporta il dolore della vita con compostezza e forza di carattere, che non si compromette con la meschinità e si prende i rischi della ricerca della giustizia, quella naturale e umana, non costruita; moderno cowboy o indiano ( i due modelli hanno finito per assimilarsi uno all'altro quando alla base è l'onestà intellettuale ad avere la meglio) cavalca la moto slitta in terre estreme allo scopo di affermare un senso della vita che riconosca i valori di una umanità empatica e carica di rispetto per ogni essere che faccia parte della natura,  ma anche la volontà di preservarla a tutti i costi da chi sembra avere solo un arrogante spirito distruttivo.



 "Mi sento di voler combattere contro tutto il mondo. Tu non sai cosa sia…”
“Sì. Ma ho deciso di combattere questa sensazione. Perché so che il mondo vincerebbe”.

“Qui da noi – la ammonisce lo sceriffo – quando fa bel tempo, in piena estate,  ci sono trenta centimetri di neve”.