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sabato 7 marzo 2020

I ragazzi della Nickel di Colson Whitehead



Colson Whitehead ci regala un altro potente libro per raccontarci un altro pezzo di America e un altro pezzo del razzismo americano. Lo spunto lo prende dal ritrovamento di un cimitero segreto dove venivano sepolti corpi di cui non si voleva render conto, provenienti da quella che una volta era la "scuola" Dozier, in realtà un centro di detenzione per adolescenti, in cui  venivano perpetrati soprusi e violenze fino all'omicidio, e su questa storia vera, dopo essersi documentato in modo approfondito, costruisce un racconto e dei personaggi completamente plausibili.

Florida anni '60, in pieno periodo di segregazione e di lotta per i diritti civili, Elwood, nero, adolescente, coscienzioso, ha il desiderio di andare al College per uscire fuori dal ghetto, luogo così descritto, nel 1962, da James Baldwin* in una lettera al nipote, (che potrebbe benissimo essere Elwood stesso) - "Questo paese innocente ti ha confinato in un ghetto, e in questo ghetto è stabilito che tu marcisca........tu sei nato dove sei nato e hai di fronte il futuro che hai perché sei nero, per questa e nessun altra ragione. Per loro è scontato che i limiti alle tue ambizioni siano definiti una volta e per sempre. Sei nato in una società che con brutale limpidezza, e in tutti i modi possibili, ha messo in chiaro che sei un essere umano senza valore. Non ti si riconosce il diritto di aspirare all'eccellenza: hai diritto soltanto di accontentarti della mediocrità. Da qualunque parte tu sia rivolto, nella tua breve vita su questa terra, ti è stato detto dove potevi andare e cosa potevi fare (e come dovevi farlo) dove potevi vivere e chi dovevi sposare".

Elwood ascolta i discorsi di Martin Luther King e fiducioso nelle sue parole e nei cambiamenti che prospettano, inizia a partecipare alle lotte per diritti civili e attende il momento in cui potrà entrare nel ristorante dove lavora la nonna non come lavorante ma come cliente. La sua bravura a scuola e la sua volontà ferrea di progredire gli forniranno un'opportunità di entrare al college e proprio mentre sta per andarci si trova nella situazione sbagliata al momento sbagliato e il colore della sua pelle lo rende subito colpevole e finisce alla Nickel (leggi Dozier) luogo di sopraffazione, umiliazione e dolore fisico e morale per i ragazzi che lì vengono rinchiusi.
La crudeltà verso i più deboli, gli indifesi non è una prerogativa riservata ai neri, alla Nickel la così detta "Casa Bianca" è il luogo di tortura per tutti, ma è l'unico luogo di condivisione tra neri e bianchi, per il resto vige la segregazione che comprende, anche, una maggiore accanimento contro i ragazzi di colore su cui i sorveglianti, parecchi appartenenti o simpatizzanti per il KKK, sfogano la loro "libidine" razzista.
Elwood conosce e fa amicizia con Turner e si prospettano insieme come due personaggi antitetici e complementari, l'uno ricco di speranze e di idealismo, il secondo cinico e disincantato, immagini speculari di tipici ragazzi che popolano i ghetti afro-americani.
Elwood subisce, come gli altri, le umiliazioni, le violazioni, le degradazioni fisiche e morali infertegli dagli aguzzini di quel luogo, completamente in balia dei casuali picchi di ferocia.
E, in quella situazione, le parole di M.L.King che auspicano di combattere la violenza contro i neri con l'amore verso i bianchi cominciano a non essere più così chiare per lui, così plausibili, così realizzabili, così giuste.

I ragazzi della Nickel una volta fuori non avranno una vita facile segnati per sempre da quel luogo che li ha degradati anche nel loro diventare  futuri uomini, l'esperienza della "scuola"  li seguirà passo dopo passo e spesso finiranno preda dell'alcool, della droga, del crimine, della violenza, della morte.

Whitehead scrive un romanzo brutale, duro, con una scrittura asciutta che rende appieno la drammaticità della situazione; a differenza che ne "La ferrovia sotterranea" non introduce elementi immaginifici ma parla ugualmente di una fuga da una condizione che non riconosce alcuni esseri umani come persone con pieni diritti. La fine del romanzo, poi, ci regala delle invenzioni letterarie che permettono, oltre che una sorta di compensazione e  ricomposizione della vita di Elwood, quella magica capacità della letteratura di stupire il lettore con l'immaginazione narrativa che non edulcora la realtà ma la arricchisce di possibilità, di profondità, la trascende per renderla più plausibile.


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* James Baldwin è un noto intellettuale afro-americano, attivista politico, scrittore di narrativa e di saggi, la frase citata è presa dal libro "La prossima volta il fuoco", Fandango 2020.

venerdì 15 giugno 2018

La ferrovia sotterranea



La ferrovia sotterranea è stata, durante il secolo XIX, una rete clandestina di percorsi e rifugi per permettere agli schiavi di fuggire dal sud al nord dove la schiavitù era già stata abolita. Venne definita così perché la terminologia che la individuava venne presa in prestito dal linguaggio ferroviario: i luoghi di sosta, per esempio, erano chiamati stazioni, coloro che li presidiavano capi stazione . La hunderground railroad, nel libro di Colson Whitehead, diventa una ferrovia sotterranea reale, che scorre in tunnel scavati nella terra dagli abolizionisti; è così che l'autore l'aveva immaginata da bambino, quando gliene parlavano, e quel ricordo gli ha dato spunto a elaborare un espediente narrativo sorprendente ed efficace.

Il romanzo, ambientato a metà dell'800 prima della guerra di secessione, racconta la fuga dalla piantagione della giovane schiava Cora, della sua fermezza  nella ricerca della libertà, del suo coraggio a perseverare nonostante gli ostacoli, della sua giusta ostinazione a riconoscersi ed affermarsi come essere umano e non come oggetto, della sua crescita identitaria.  A lei si oppone, con la stessa fermezza, Ridgway, cacciatore di schiavi, che fa della sua stessa determinazione quasi una filosofia di vita in cui i principi a cui si ispira sono sintetizzati nella definizione "Destino manifesto" che lui spiega a Cora in questo modo: "Significa prenderti ciò che è tuo, quello che ti appartiene, qualunque cosa pensi che sia. E tutti gli altri se ne stanno ai loro posti assegnati per permetterlo. Che siano i pellerossa o gli africani, devono arrendersi, sacrificarsi, in modo che noi possiamo ottenere ciò che ci spetta di diritto... A mio padre piaceva fare i suoi discorsi da indiano sul Grande Spirito», proseguì Ridgeway,  «Ma dopo tutti questi anni, io preferisco lo spirito americano, quello che ci ha fatti venire dal Vecchio Mondo al Nuovo, a conquistare, costruire e civilizzare. E distruggere quello che va distrutto. A elevare le razze inferiori. Se non a elevarle, a sottometterle. Se non a sottometterle, a sterminarle. Il nostro destino prescritto da Dio: l’imperativo americano».   Parole che ben delineano  anche il concetto di "libertà americana" e che è in evidente contraddizione con la libertà di Cora.

 La scelta di una giovane donna come protagonista marca una ulteriore discriminazione, anche all'interno della stessa comunità afro-americana, individuando una "linea di genere", oltre a quella di colore concettualizzata da W. E. B. Du Bois , che attraversa la storia e le società.




Nella prima parte del libro l'autore ci descrive la vita dello schiavo, quale essa era veramente, sottoposta ad un quotidiano annichilimento ottenuto con il terrore, dove, qualsiasi cosa fosse ritenuta arbitrariamente un affronto al padrone, era punita con una inaudita ferocia che si abbatteva sugli adulti e sui bambini; non erano considerati essere umani, neanche animali ma oggetti con la differenza che l'oggetto schiavo provava dolore psichico e fisico, fonte di maggiore potere e soddisfazione per chi sistematicamente li distruggeva.

Dal momento della fuga di Cora, Whitehead inserisce il realismo magico con l'invenzione di una vera ferrovia sotterranea con rotaie, stazioni e treni, cosa che gli permette di cambiare le regole del racconto, di allontanarsi da uno stretto realismo storico della narrazione e di inserire alterazioni anacronistiche di riferimenti storici.

Questo espediente e la narrazione in terza persona (anche se dal punto di vista di Cora) gli permettono di allargare lo sguardo su una realtà che trascende il periodo contemporaneo alla storia, anticipando le leggi di segregazione emanate dopo la guerra civile, i grattaceli dell'urbanizzazione, la sterilizzazione di fine ottocento, gli studi sulla sifilide degli anni 30 e 40 del novecento, portandoci in avanti col tempo durante il quale il razzismo non è mai finito, il razzismo alla base della schiavitù si trasforma nella forma ma continua nella sua essenza discriminatoria fino ai nostri giorni. E' inevitabile, per chi legge, pensare a Obama e a come i bianchi statunitensi abbiano risposto con l'elezione di Trump.

Cora percorre la sua strada di fuga attraverso gli stati, spostandosi verso il nord antischiavista; incontrerà ipocrite solidarietà che mascherano più sottili soprusi, persone sinceramente impegnate a restituire agli schiavi una umanità e una possibilità di vita dignitosa che verranno definite "amici dei "negri" e come loro punite, si scontrerà con modi e forme diverse di razzismo, di sopraffazione, di violenze. Tutto ciò renderà il "nord" irraggiungibile, non come luogo fisico a cui alla fine giungerà, ma come il simbolo di libertà, non esiste un "nord" per gli schiavi, per gli afro-americani, in nessuna parte degli Stati Uniti, il nord non è mai abbastanza nord perchè il razzismo è ovunque sotto forme diverse.

La ferrovia sotterranea che scorre in tunnel neri senza luce, nel romanzo di Colson, diventa metafora di più cose: la clandestinità in cui i bianchi abolizionisti dovevano agire; il nero della pelle degli schiavi; il nero del cuore di tenebra che anima i bianchi razzisti, il nero abisso della coscienza americana.

Uno dei capistazione che incontrerà Cora nel suo viaggio le dirà:" Se volete vedere come è fatto questo paese, io lo dico sempre, dovete prendere il treno. Mentre andate a tutta velocità guardate fuori, e vedrete il vero volto dell'America". Più avanti nella narrazione, quasi a rispondergli in differita, memore di quelle parole e più consapevole della realtà, Cora penserà: "Era tutto uno scherzo...fin dall'inizio" e  Whitehead continua: "Nei suoi viaggi, fuori dal finestrino, c'era solo il buio, e solo quello ci sarebbe sempre stato".

Il romanzo, fuoriesce dalla tradizione biografica dello schiavo fuggiasco, come già Toni Morrison aveva fatto e non solo lei, universalizza il problema usando la finzione narrativa, e coinvolge più intensamente il lettore che si trova di fronte a un dramma umano e sociale che non ha mai trovato una giustizia storica all'interno del contesto nazionale in cui si è sviluppato - come pure ci racconta  Ta-Nehisi Coates nel suo "Un conto ancora aperto" - né, di conseguenza, è stato ancora risolto.

L'autore fa dire a uno schiavo liberato:"... l’America è un’illusione, la più grande di tutte. La razza bianca crede – ci crede con tutto il cuore – che sia suo diritto impadronirsi della terra. Uccidere gli indiani. Fare la guerra. Mettere in catene i propri fratelli. Questa nazione non dovrebbe esistere, se ci fosse giustizia a questo mondo, perché le sue fondamenta sono l’omicidio, il furto e la brutalità. Eppure siamo qui."

Ma anche noi tutti siamo qui, in questo mondo, e continuiamo ad assistere a nuove schiavitù, a nuovi orrori, a continue discriminazioni e violenze.
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"Se mi conficchi un coltello nella schiena per ventitré centimetri e ne tiri fuori quindici, non c'è stato un miglioramento. Se lo tiri fuori del tutto non c'è stato un miglioramento. Il miglioramento è curare la ferita che il colpo ha causato. E loro non l'hanno neanche tirato fuori il coltello, neanche a parlarne di curare la ferita. Loro non ammetterebbero neanche l'esistenza del coltello" (Malcolm X)





https://youtu.be/Wl3CLxzMSEA