
Selma, però, è molto di più, perché con la sua intensità
narrativa ci porta all’interno di un problematica mettendone a fuoco i vari
aspetti sociali e personali.
Inizia con l’assegnazione del Nobel per la pace a Martin Luther
King e subito dopo viene inserita una
potente e drammatica scena sulla bomba che membri del KKK fecero scoppiare in
una chiesa afroamericana uccidendo quattro bambine; si introduce così quale
fosse la realtà degli stati del sud degli Stati Uniti e come contrastasse un riconoscimento
così solenne, quale il Nobel, con la realtà del razzismo
e i livelli di crudeltà a cui arrivava, senza che le autorità federali intervenissero. Bastava uno sguardo, una parola
non gradita perché un nero fosse ucciso, torturato, bastava passare per la
strada per essere stuprata, bastava vivere per essere uccisi.

La tensione per King era anche quella di garantire la non
violenza da parte degli afroamericani, cosa difficile da realizzare perché significava non
reagire all'essere picchiati, a vedere donne, bambini e anziani colpiti dalla
ferocia della polizia e delle bande di bianchi armati e senza divisa che si
prestavano, ben contenti di farlo, al pestaggio dei manifestanti. Era, la non
violenza, una scelta morale ma anche un modo per far emergere la brutalità della
repressione e cercare di coinvolgere l'opinione pubblica bianca che non
condivideva il razzismo e le forme in cui si manifestava.
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La figura di Malcolm è quasi evanescente nel film, nei pochi momenti in cui appare, il 21 febbraio sarebbe stato ucciso, fa immaginare un possibile avvicinamento tra i due leader, se non per condividere il metodo di lotta, per la costruzione di una stima reciproca. Si avverte anche in questo piccolo, ma, secondo me, intenso frammento, quale sarà anche il destino dello stesso King.
Du Vernay, ha girato un film reale e potente, in cui la descrizione degli eventi ha la forza della verità, nella sua crudezza e nella sua forza, in cui i semplici fatti sono arricchiti dai retroscena personali di tutti coloro che vi parteciparono, in cui la lotta per la giustizia ha lo spessore profondo delle sofferenze di ogni singolo partecipante; dietro ad ognuna di quelle persone che sfilarono da Selma a Montgomery, c'era una vita, delle aspettative, dei desideri, il diritto di esercitare la possibilità di essere una "persona".
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Mi viene da fare un'associazione tra questo film e i libri di Richard Wright, uno fra tutti/e gli/le scrittori/ttrici afroamericani/e.
Un'immagine mi ha colpito e mi sento di segnalarla quale sintesi, quella in cui un poliziotto, che si prepara a respingere la marcia, avvolge sul proprio manganello del filo spinato.
Quello che segue è un filmato della terza marcia, quella che arrivò a Montgomery.
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