martedì 25 gennaio 2011

Hereafter




Un film che ti colpisce come lo tsunami con cui inizia, ti entra dentro con la sua emotività se la tua è predisposta a riceverla senza interporre alcun filtro razionale.

Una pellicola anomala all'interno della filmografia del grande Clint, ma che ne conferma lo sguardo umano con cui, senza preconcetti o pregiudizi , ha sempre osservato e poi descritto l'essere uomo e l'essere donna nello svolgersi della vita.

E della vita parla il film,e della vita in relazione alla suo momento finale, la morte che la conclude e la accompagna nei fatti e nei pensieri.

I personaggi hanno un rapporto direi anomalo con la morte, non convenzionale, al di fuori della "normalità"...lei "vive" la sua morte e ritorna in vita, lui ne è a contatto diretto per poteri paranormali, il bambino rifiuta quella del fratello cercando di superare il limite assoluto del al di là.

La morte è raccontata non come evento ma come mistero ed il mistero non può essere raccontato se non con strumenti che vanno oltre la usuale interpretazione della realtà, nell'inconoscibilità assoluta della morte il regista azzarda ipotesi misteriche inspiegabili sul piano della razionalità e logica umana, rischiando anche di essere tacciato di semplicismo intellettuale.

Ad una età, 81 anni, in cui quel mistero si fa più vicino e la domanda finale si fa pressante, inserito completamente in un mondo che dell'immagine della morte ha fatto tabù e che ha perso completamente la magia della vita e della morte, Eastwood non ha altri punti di riferimento se non quelli che gli vengono offerti da fenomeni paranormali ed in base a questi ci da conto di quello che potrebbe essere il..."dopo"....ma ci dice anche che ci cerca di guardare oltre può rimanerne avvelenato...e l'antidoto che ci propone è la vita stessa..
gli incontri salvifici che ci può dare.. e l' umanità, il senso alto dell'umanità che si può esercitare...

Il linguaggio che usa è pacato, sobrio, consapevole del peso dell'argomento che tratta, la sua sincerità ci lascia  guardare dentro le sue paure e stimola noi a guardare dentro le nostre in modo semplice...umano...invitandoci  ad accogliere la vita in un guscio di verità.




giovedì 20 gennaio 2011

Due versioni di come si infrange il sogno americano

Di Philipp Meyer "Ruggine americana" Einaudi 
traduzione di Cristiana Mennella 

Ruggine delle fabbriche smantellate,
 ruggine delle speranze disfatte, del futuro mancato,
ruggine degli animi senza prospettive, di cuori senza amore,
di vite abbandonate a se stesse, di sogni interrotti..
ruggine del sogno americano disilluso.

La ruggine del libro è quella che la crisi economica “alimenta” nelle grandi fabbriche dell’acciaio nella provincia americana ( Pensylvania) e che provoca disoccupazione e tutto quel ne consegue per le popolazioni che ne restano coinvolte; all’interno di questa cornice si inseriscono le vicende private dei protagonisti, tutte con livelli alti di drammaticità causata sia dalle situazioni sociali che da quelle personali.

L’autore, al suo romanzo d’esordio, ci descrive il disfacimento di una comunità che dalla prosperità economica passa alla disperazione della povertà e a quello che a  livello psicologico ne deriva e lo fa attraversando la vita dei personaggi al cui interno innesta un evento criminoso che esaspererà il già difficile svolgersi delle storie personali.

Il libro è scandito in capitoli intitolati ai singoli personaggi e garantisce così una approfondita analisi psicologica degli stessi senza perdere lo sguardo d’insieme del mondo in cui si muovono e con il quale interagiscono e dal quale sono naturalmente influenzati in un gioco di specchi che si rinfrangono l’un l’altro.

Lo stile è asciutto ed intenso, monologhi interiori sottolineano l’introspezione dei personaggi, abitati da tensioni morali nella ricerca dell’individuazione della linea di demarcazione tra il bene ed il male, che spesso risulterà spostata, rispetto ai normali canoni ,da un senso di giustizia “naturale” più che legale.

Si ritrovano all’interno della narrazione tematiche tipicamente americane, quali una importante presenza della natura a volte ostile a volte unica consolazione per gli animi alla ricerca di una qualche felicità, che, per quanto promessa da tante mistificazioni della realtà, è negata poi dallo svolgersi pratico degli eventi. Una natura che senza fretta, padrona del tempo, comincia a ricoprire le macerie delle fabbriche dismesse riprendendosi il proprio spazio. Ed è al suo interno che si sviluppa un altro mito dell’immaginario americano, quello della fuga, dello spostamento verso luoghi altri, quello della libertà da realizzare superando, di volta in volta, frontiere fisiche e/o mentali. Fuga che intraprende uno dei personaggi principali e che corre parallela ed in contrasto con la fissità dell’altro  protagonista principale, prima voluta e poi imposta dalla struttura, la più coercitiva possibile, del carcere dove finisce.

In mezzo a tutta questa ruggine che corrode cose e vite, ciò che si salverà saranno i valori della lealtà, dell’amicizia, di un senso di giustizia umana che va al di là delle convenzioni e che non sempre può fare a patti con le regole stabilite dalla società.

E’ un romanzo di ampio respiro, in cui paesaggio e società fanno da sfondo a personaggi ed emozioni, una vena noir lo attraversa e ne intensifica la tensione,  l’autore non è mai troppo indulgente né accusatorio, la sua attenzione è posta  nella ricerca dell’autenticità dell’essere umano senza edulcorazioni né nette condanne, in quel realismo tipicamente americano essenziale e scevro da fronzoli stilistici e narrativi.


Di Horace McCoy "Sarei dovuto restare a casa" BUR,
traduzione di Teresa Albanese



Un altro libro, completamente diverso da quello precedente  ma ad esso collegato per una tematica comune, la decomposizione del sogno americano, è “Sarei dovuto restare a casa” di Horace McCoy
Siamo negli altri trenta del secolo scorso luogo LA, specificatamente Hollywood, personaggi principali un ragazzo ed una ragazza che, come mille altri come loro, hanno dato credito all’illusione
del diventare famosi..come Gary Cooper o chi per lui… illusione alimentata dai rotocalchi che magnificavano la vita degli attori che dal nulla erano arrivati alla celebrità, alla ricchezza…alla felicità….feste fastose, disinibizione, soldi a cascate, sesso facile, e tanta tanta fama….
Ma è la fame che riempe le giornate dei protagonisti e il problema di sbarcare il lunario, di pagare l’affitto ..nell’attesa spasmodica che il telefono squilli con l’opportunità tanto agognata….ed il prezzo che pagano è la dissoluzione morale delle proprie identità fino al suicidio…
Libro profetico e spietato che di quel sogno americano in particolare ne fa carta straccia con lucidità e stringatezza. Forse ci ricorda qualcosa anche se con quasi un secolo di distanza? Interessante postfazione di  Giancarlo De Cataldo.










mercoledì 12 gennaio 2011


Autore Jack Black " Non c'è scampo" ( titolo originale "You can't win") ed. ALET 2003


Libro, ( prima edizione del 1926) credo quasi sconosciuto ai più, ma cult book della  beat generation, W. Burroughs, che ne scrive la recensione nel 1988 e che ne memorizzò intere parti citandolo varie volte nei suoi lavori letterari, lo considera un pezzo di memoria storica, la descrizione di un microcosmo che vive ai margini della società americana, la storia di personaggi borderline che si muovono senza biglietto sui treni merci, si radunano nei boschi, e hanno uno stile di vita ( le vicende si svolgono a cavallo tra 1800 e il 1900) destinato a scomparire,  che ha delle regole d'onore e comportamentali non scritte ma, per lo più, rispettate e con una loro dignità.


L'autore, anche protagonista,( il libro è autobiografico), è un "fuori legge", vive di furti e di questa vita ne paga le conseguenze fino al carcere, luogo di approdo quasi inevitabile, le cui crudeltà ed asprezze lo rimetteranno sulla "retta via", ma con un bagaglio umano particolare di conoscenza e consapevolezza.
Jack Black svolge la sua vita in modo cosciente, e una delle cose interessanti del libro è proprio la possibilità che da al lettore di entrare nella mente del protagonista, di conoscerne i meccanismi mentali che prima lo inducono a percorrere una strada di vita al di fuori e contro la società e che poi lo portano al suo reinserimento in essa. Un libro che dissotterra dal disconoscimento della storia ufficiale un modo di vivere che pure ha caratterizzato un momento storico e sociale di una nazione.


Lo stile è semplice, scevro da compiacimento, da vittimismo, da esaltazione, è semplicemente schietto e realistico.
Uno squarcio nel separè che divide la vita "normale" da quella sotterranea e che fa emergere dal buio esistenze che comunque avevano consapevolezza del loro vivere, una loro dignità, ed anche una, seppur diversa, moralità.

lunedì 10 gennaio 2011

Viaggio in America attraverso Lousiana, Mississippi e Tennessee

Primo post di questo novello blog; piccolo resoconto, poco ortodosso, del mio ultimo viaggio negli states, fatto accompagnando un'amica che lì si muoveva per lavoro..
in realtà è stato già pubblicato sul blog di un'altra mia amica, ma non ho trovato di meglio per iniziare a raccontare ...le mie cose d'america....





Leggerezza di New Orleans, piena di festoni del carnevale appena passato, musica ovunque, nelle strade, nei locali, sul Mississippi, collane di perline e sciarpe di piume di tutti i colori, palazzi storici che hanno visto sfilare tanti Mardi grass,
tanti schiavi in catene,
tornadi e cortei funebri di afroamericani che da lì hanno tirato fuori il Jazz 








Strade immense, e strade piccole ma tutte allungate all’orizzonte, boschi, praterie, paludi, residui di cotone sull’erba secca, piantagioni, pascoli, querce secolari con lunghi rami protesi verso l’esterno ad accarezzare la terra 










Paesi con main street e piazze limitate da palazzi dei primi del novecento che sembrano scenografie di film western 











Case prefabbricate, sporadicamente poste su tutti i percorsi, dove l’umanità si aggrega in piccoli gruppi....
convivono  vicine case decorose, case graziose, case in decadenza case fatiscenti 



Quartieri periferici di un centro inesistente, abitati solo da neri 
al di fuori delle case non si vede mai nessuno
mai nessun bianco                                                                             
i neri stanno fuori, parlano, bevono, i bambini giocano 

Oggetti inverosimili, residui di macchinari, oggetti tra i più pazzi ed inutili, vecchi, usati, accatastati fuori le case, o diventati arredi….su tutti si potrebbe leggere…America…. 

Stormi di uccelli grandi quanto il cielo al tramonto… 



Campi di battaglia diventati parchi 
Vecchie fattorie con baracche e magazzini di legno e lamiera diventati Motel 














Accoglienza e gentilezza 
cordialità e  disponibilità 
                                                                                                        
Facce nere di colore e di umore 
neri corpi vestiti over size 
corpi over size 

Sulla strada limacciosa del grande fiume scorre la musica 
Incrocio tra 61 e 49…Darksdale... Robert Johnson vende l’anima al diavolo…nasce il blues…si dice…la musica del diavolo ….                                                                                    
“juke point” l’anima diventa musica…la musica plasma i corpi in movimenti sinuosi 


Tupelo…dove nasce Elvis…nel Tennessee dove prima era nato nato il KKK 


Menphis, case monumentali vittoriane, B.B.King, Graceland ed ancora Mississippi,

Motel Lorraine, stanza 306 da cui esce M.L.King e viene ucciso 













Menphis, dove vive e muore Elvis e dove finisce il mio viaggio


Circa 2000 miglia, sul parabrezza neanche un insetto lungo la strada animali travolti 
Negli occhi rimangono orizzonti dove ci si può ancora perdere, dove ancora, forse si può scappare…dove forse si può impazzire…ma anche di una “buona follia…”
Spazio dove la mente  può  assaporare la libertà, dove il proprio corpo perde dimensione.. spazi che hanno visto la violenza su cui gli states sono cresciuti..tutti gli states…dalle città alle campagne, dai deserti alle montagne… 
ma si respira sperando ancora di poter essere liberi….l’America è così una contraddizione di se stessa…una finzione che è realtà…