mercoledì 29 maggio 2019

E' passato tanto tempo di Andrè Dubus III


"E' passato tanto tempo" è un romanzo complesso, scritto bene e costruito ancora meglio, un intreccio di narrazioni in tempi diversi, in luoghi diversi, che fluiscono l'una nell'altra senza interrompere o fare inciampare la narrazione. Sono tre i personaggi di cui si scandagliano le emozioni, le vite, le solitudini:
Daniel, che ha ucciso la moglie Linda quando lei aveva 24 anni spinto da una gelosia incontrollabile;
Susan la loro figlia, che al momento dell'omicidio aveva tre anni ed era presente;
Lois, madre di Linda, che si prenderà cura di Susan.

Passano circa 40 anni Daniel sconta solo 15 anni in prigione e trascorre il resto della pena  in  libertà vigilata, quando anche questa finisce, ossessionato da quello che ha commesso e dalla inevitabile perdita di contatti con la figlia, resosi conto che non ha molto più da vivere, decide di cercarla e, dopo aver individuato tramite internet dove lavora e vive, le scrive una lettera per poi partire col l'intento di incontrarla.
La narrazione si sviluppa in un andirivieni temporale che riguarda tutti i personaggi, ciascuno con i propri dolori, ossessioni e problematiche irrisolte che derivano da quell'evento delittuoso che ha cambiato per sempre le loro vite. Dubus III ne scandaglia l'animo andando in profondità, lo fa con sincerità e onestà verso i protagonisti e verso il lettore, senza ammantarsi di nessuna capacità di giudizio ma dandoci tutti gli elementi di comprensione, mettendoci direttamente in contatto con gli eventi e le persone che ne sono attori. Se dovessi rendere visivamente il dipanarsi della narrazione direi che i personaggi sono delle ombre che piano piano prendono una forma sempre più definita tanto da essere individuabili, poi, come persone concrete nelle loro problematicità.
Gli assilli che li animano principalmente sono l'anaffettività di Susan nel relazionarsi con gli l'altri, la rabbia vendicativa di Lois, il senso di colpa  di Daniel, sintesi di stati d'animo che accompagnano i personaggi e che si dipanano in molte sfaccettature. Ci sono eventi nella vita che la segnano definitivamente, che sono irreversibili, che non potranno mai essere dimenticate per le conseguenze che hanno determinato, sia per chi li ha subiti che per chi li ha causati, ferite che non saranno mai completamente guarite, ma con cui si può pensare di convivere.
Il perdono, che sia verso se stessi o verso gli altri, rimane un concetto astratto quanto le religioni che lo propongono, solo attraverso la ricomposizione, l'accettazione e la consapevolezza si può fare della propria vita qualcosa di costruttivo e sensato. Questo accade nel romanzo grazie alla presenza  di Bobby marito di Susan, ( in cui si può, a mio parere, intravedere l'autore stesso) personaggio secondario che, forte dell'estraneità ai fatti, dotato di una forza interiore che gli permette di guardare gli altri senza pregiudizi, e senza pretesa di giudizio nei loro confronti, consapevole dell'unicità di ciascuno ( Dubus dice in un intervista:"Non si può pensare di concepire davvero l'altro, perchè ognuno è uno e niente di più" ) guiderà tutti a una risoluzione possibile.

Bobby, musicologo, appassionato di Ornette Coleman  -  sassofonista pluristrumentista jazz-  applica "le regole" del  free jazz, di cui Coleman stesso è considerato il padre, alla vita, seguendo quella che ritiene una massima proprio di Ornette "E' così che ho sempre voluto che i musicisti suonassero con me: su più livelli. Non voglio che mi seguano. Voglio che seguano se stessi, ma per stare con me".

Così Bobby è descritto all'interno del libro: "In qualche modo in ogni sua scelta c'era anche il calore o almeno la traccia del grosso Bobby Dunn che ti stava accanto e sorrideva e che si fidava del fatto che tu lo ricevessi senza doverti soffocare in una sottomissione fatta di banalità vagamente formulate e di note senza fine. Questa era la questione. Bobby si fidava. Si fidava che un'osservazione vera avrebbe portato a un'altra e poi a un'altra ancora senza pensarci troppo, che se qualcosa stava funzionando ora avrebbe continuato a funzionare in seguito e che la vita era una grande improvvisazione confusa dove non si poteva fare a meno di addentrarsi in quello che ancora non si sapeva e che la cosa peggiore che si poteva fare era semplicemente sedersi, cercando di darle una forma troppo compiuta".

La complessità del testo, poi, oltre alle varie voci dei protagonisti, si arricchisce di ulteriori inserimenti narrativi costituiti dal libro che Susan sta scrivendo e dallo sdoppiamento che Denny fa di se stesso in due personaggi collocati uno prima dell'omicidio da lui commesso e uno successivo a esso, rendendo la narrazione ancora più articolata e sfaccettata.

Si può dire che Dubus III, ha scritto un libro che, seppur pecca di qualche lungaggine ampiamente compensata da una forma e da una struttura narrativa di grande maestria,  ci fa riflettere su come il passato possa segnare incisivamente la vita delle persone  e i rapporti affettivi che le legano, e ci suggerisce che l'unico modo  di rimettere a posto i pezzi di quello che è stato rotto, è operare con intento empatico ma senza perdere se stessi. E forse in tutto ciò si può intravedere la ricomposizione che egli stesso ha fatto nella relazione con il padre, lo scrittore Andrè Dubus, con il quale ha avuto un rapporto difficile (il padre abbandonò la famiglia, creando non piccoli problemi di sussistenza e di crescita serena al figlio) ma che è poi riuscito a recuperare: forse, proprio senza smettere di suonare le "sue note" ha imparato a suonarle insieme a lui.








 

domenica 21 aprile 2019

L'estate che sciolse ogni cosa

L'estate che sciolse ogni cosa è il primo libro pubblicato da Tiffany McDaniel, ma non il primo da lei scritto, infatti per molti anni (ha iniziato a scrivere a 18 anni) le case editrici ne hanno rifiutato la pubblicazione come lei stessa dice in una intervista : "Per undici anni i miei scritti sono stati rifiutati dagli editori con la motivazione che li consideravano troppo cupi e comunque troppo rischiosi da pubblicare. L’industria editoriale americana, specialmente nel clima attuale, è molto cambiata focalizzandosi sul commerciale e sul non-fiction. La fiction letteraria, che è ciò che scrivo, è un genere considerato difficile per una carriera da lanciare, dal momento che il pubblico che segue questo genere letterario è sempre più di nicchia, almeno negli Stati Uniti."

Spendo due parole a favore della finzione come caratteristica di quell'opera letteraria che per convenzione chiamiamo romanzo e che ultimamente è più espressione di esperienze personali che di costruzioni narrative. Con l'auto fiction o no fiction novel, senza volerne disconoscerne il valore, si viene a perdere tutto un mondo che l'autore costruisce per comunicare la sua opera a noi lettori, la trama, l'intreccio, i personaggi, le mille possibilità che ha di inserirci situazioni, emozioni, eccezioni, stramberie, magia, etc etc, la capacità di strutturarle per dare loro un senso compiuto o  per non dar loro nessun senso....per spaziare nelle possibilità umane dell'esistenza....spesso si dice "leggo per vivere vite che non potranno mai essere le mie" ma non per vivere la vita dell'autore che diventa personaggio, anzi, "il personaggio"....Sicuramente ci sono fenomeni sociologici che mi sfuggono, ma credo che la nuova comunicazione, tra cui quella dei social, abbia troppo incentivato l'esposizione di se stessi, il racconto di se’ impoverendo la narrativa di elementi tipici della sua forma artistica.

Il libro della Mc Daniel comprende tutte le caratteristiche della narrazione di finzione che,  associate a uno stile a dir poco di notevole valenza estetica, si propone come un libro di rara bellezza.
1984, in un paesino dell'Ohio, Breathed,  Autopsy Bliss, pubblico ministero convinto di poter essere "il setaccio di Dio" per operare la distinzione tra bene e male, invita, in un bizzarro articolo sul giornale locale,  il Diavolo a presentarsi per avere un dialogo con lui e verificare il proprio operato. Colui che arriva, dicendo di essere Lucifero, è Sal, (le prime due lettere Sa stanno per Satana, L per Lucifero) un ragazzino di pelle nera, mal vestito, magrissimo, che incontra Fielding il figlio di Autopsy e da lui viene portato a casa. Insieme a Sal arriva un caldo insolito, un "caldo che non scioglieva solo le cose tangibili, come i cubetti di ghiaccio, il cioccolato, i gelati. Ma anche l'intangibile. La paura, la fede, l'ira, e ogni collaudato modello di buon senso. Scioglieva l'esistenza della gente, gettandone il futuro in cima al mucchio di terra sulla spalla del becchino".

Da questo momento molte sono le cose che avvengono, con la inusuale feroce calura di inizio estate si disgrega il super io comunitario: del caldo e di tutte gli eventi negativi che accadono si cerca il capro espiatorio, la fonte delle disgrazie, e non può che essere il "negro" venuto da fuori e che dichiara di essere il Diavolo. Per lui “Diavolo” non è che uno dei tanti nomi dispregiativi con cui lo hanno sempre chiamato e si dichiara tale perché è disposto a tutto pur di essere accettato e ospitato. Sal ha però la grazia di chi è accogliente verso gli altri, di chi, rispetto alle diversità e alle difficoltà altrui, prova empatia e riesce a sciogliere i nodi mentali di alcune delle persone che incontra, persone incastrate nelle loro paure e nelle loro difficoltà di vivere. Elohim, altro personaggio importante (il significato base del suo nome è "dio", "divinità"), fa leva sulle fobie, la viltà e le debolezze delle singole persone del paese in modo tale che diventino una massa indistinta, portatrice di odio che cerca la vittima sacrificale ( tutto ciò rimanda all'attualità e non credo che sia un caso). Le parti si invertono, Sal, colui che porta il nome del Diavolo è colui che salva, è l'angelo perduto che con la sua caduta ha permesso a Dio di esistere essendo il suo opposto, conosce il dolore e lo capisce mentre Dio guarda come spettatore le debolezze e il dramma degli uomini dall'alto della sua potenza; Elohim, che porta il nome della divinità, è colui che fomenta il risentimento degli uomini guidandoli verso l'orrore umano.
Il narratore del libro è Fielding e il suo racconto ha una doppia temporalità, il tempo in cui narra e il tempo di cui narra, nel primo ha più di ottanta anni, nel secondo è adolescente; questa dualità temporale non compromette la scioltezza della narrazione, arricchendola invece dello sguardo maturo di chi in quell'estate del 1984 non era che un ragazzino e ha visto la distruzione della sua famiglia e insieme ad essa quella della sua innocenza,  del suo porsi verso il futuro in modo positivo, ha conosciuto prematuramente "il supplizio di provare speranza solo per capire che non c'è speranza".

E' questo un libro che ci parla e ci fa riflettere su innumerevoli tematiche:la diversità, l'amore, l'amicizia, la famiglia, le eccentricità degli individui, la progressiva distruzione della terra, la fede, la religione, il dolore, la rabbia, l'orrore umano, il razzismo, la superstizione, il senso di colpa, la resa dei conti con se stessi e sopratutto il confine tra il bene e il male. Tutto questo è trattato con una fluidità che ha del magico ed è reso con una prosa che spesso rasenta la poesia.
L'uso che McDaniel fa delle parole e della loro costruzione in frasi è di un efficacia narrativa sorprendente, avvolge e coinvolge il lettore, lo fa scendere nell'animo dei personaggi con intensità emotiva e allarga la visuale dal particolare all'universale.
La potenza evocativa della narrazione dell'oramai ottuagenario Fielding che ricorda quell'estate che sciolse ogni cosa ha la sottile bellezza della malinconia, la forza della consapevolezza di ciò che si è fatto e di ciò che si è omesso, la tragicità di quello che non si può più modificare e di quello che rimane alla fine della vita.

Se volessimo inserire il libro in un genere letterario risulterebbe arduo perché è tante cose: quasi un thriller nella parte finale, un racconto di formazione, un diario a posteriori, un testo immaginifico, un libro distopico ed è sicuramente un romanzo sull'Umanità, sui suoi pregi e i suoi difetti, e sopratutto sulla crudeltà umana.
A esergo di ciascun capitolo c'è un verso del Paradiso perduto di Milton, non so se ciascun verso sia specificatamente attinente al contenuto del capitolo che introduce, ma credo che il loro inserimento sia non solo un  rimando alla caduta dell'angelo ribelle e alla perdita del paradiso in termini generali, ma anche un riferimento specifico al "personale paradiso" del giovane Fielding che, durante quella estate, egli perse definitivamente.

"Si, Breathed era davvero la cicatrice del paradiso perduto, e sotto quella cadenza impastata di burro e farina, il fischio sibilante della città confluiva nel vento, ti induceva al silenzio e a intuire la presenza dei serpenti"













Green Book


La neve cade copiosa e pesante, invade le strade, il Natale è dentro le case, le famiglie sono riunite intorno all'Albero decorato, un angelo bianco mette le ali in paradiso, un angelo nero sfida se stesso e gli altri, le sue ali non lo faranno volare nel cielo ma camminare a testa alta su questa terra.
La vita è meravigliosa, ma è anche il luogo umano dove viene concepito il Green Book una guida di viaggio specifica per afroamericani nel sud degli USA, dove negli anni sessanta ancora erano in vigore, dopo cento anni dalla guerra civile americana, le leggi segregazioniste.

Come spero si intuisca, "La vita è meravigliosa" è il film di Frank Capra del 1946, "Green Book" , del 2018 è di  Peter Farrelly. Ho fatto questo parallelo perché, secondo me, i due film, entrambi commedie, hanno in comune, oltre al genere, anche l'happy end, che nel primo caso è risolutivo, mentre nel secondo lascia comunque aperte tutte le problematiche toccate nella narrazione.

Peter Farrelly, autore insieme al fratello di molte commedie quali "Tutti pazzi per Mary" e "Scemo più scemo", non ha cambiato registro per questo suo film ma lo ha arricchito di una delle tematiche sociali più scottanti e contraddittorie della società americana: il razzismo, che sicuramente Capra era lontano dal porre nelle sue opere, anzi della donna nera che si vede nell'ultima scena del film si dice "anche la negra è venuta".

La storia del film - siamo negli anni '60 -  attinge a fatti e personaggi realmente esisti: Don Shirley, pianista afro americano di musica classica di indiscusso talento, assume Frank Anthony Vallelonga (dettoTony Lip), buttafuori del locale Copacabana temporaneamente chiuso, come autista e guardia del corpo, per essere accompagnato in una tournèe nel sud segregazionista.


Don sa cosa lo aspetta giù nel profondo sud e, come si scopre durante il film, il suo viaggio vuole essere una sfida, un atto di coraggio per affrontare il problema del razzismo che, se pur esistente, negli stati del nord è meno pressante sopratutto per un riconosciuto genio del pianoforte quale lui è. Anche Tony sa cosa li attende, ma lui è avvezzo a trattare la violenza e non si fa scrupolo a rispondere a tono, quando quello è l'unico sistema per togliersi d'impaccio.

Il film gioca sul rovesciamento dei ruoli:  il nero è colto, ricco, elegante ed estremamente formale, il bianco è illetterato, grossolano, sbarca il lunario lavorando per il locale, fa altri lavori sporadici, cercando di rimanere il più possibile fuori dal giro mafioso con cui, inevitabilmente, entra in contatto.

Man mano che la loro strada li porta al sud "l'accoglienza" che viene riservata a Don peggiora sempre di più, gli viene riconosciuta la bravura artistica ma non il suo essere persona, uomo, uomo nero. La buona educazione e il rifiuto della violenza non sembra possano essere coltivate in un mondo in cui è proprio la violenza a regolare i rapporti; il bianco questo lo sa, l'ambiente in cui è cresciuto ne è pieno e solo affrontando fisicamente certe situazioni se ne può uscire. Il principio di autodifesa ha la sua ragione di essere in un mondo ingiusto.
Nel percorso aumentano le difficoltà, ma cresce il rapporto tra i due: entrambi, sollecitati l'un dall'altro, usciranno fuori dalle maschere che si sono costruiti, dai pregiudizi in cui sono incastrati.
Shirley si è creato una corazza di perbenismo accentuato, di educazione esasperata che non ammette concessioni liberatorie, seduto su di un trono- fisico e metaforico- scruta dall'alto l'ignoranza e la goffaggine altrui, senza fare i conti veramente coi problemi che il colore della sua pelle e il suo essere omosessuale comportano; Tony fa i conti con i suoi  pregiudizi razziali, riconoscerà il compagno di viaggio come simile a se', con i suoi punti di forza e le sue debolezze, lo aiuterà, non solo nelle difficoltà pratiche del viaggio, lo scioglierà dagli incastri mentali che si è voluto/ dovuto costruire per avere una vita che rasenti la normalità.
Entrambi acquisiranno consapevolezza di se stessi e degli altri riconoscendosi come uomini al di sotto dell'apparenza che loro stessi, indotti anche dalle situazioni sociali, si sono cuciti addosso.

Il film è luminoso, ricco di colori e di paesaggi che ne arricchiscono la valenza estetica, gli attori sono bravissimi, Viggo Mortersen meritava, anche lui, l'Oscar.











martedì 26 febbraio 2019

"Se la strada potesse parlare" dal libro al film


Se la strada potesse parlare ci racconterebbe quanto la vita degli afro americani è stata, e ancora è, dura, una vita di violenza subita, di costante minaccia di violenza fisica e morale, di intimidazioni.
Quello che la strada vede è la costante precarietà dei corpi neri* che la attraversano,  individuabili subito per l'involucro di pelle scura che li avvolge; in ogni momento possono essere aggrediti in vario modo, con pretesti veri o falsi che diventano vere e proprie costruzioni di una realtà fittizia atta a incastrarli, e questo vuol dire che qualsiasi cosa tu faccia o non faccia, c'è sempre qualcuno disposto a usarla contro di te e a rovinarti o a toglierti la vita. Cosa contengano quei corpi, quale mente, quale anima nella sua accezione più generale,  non ha importanza, lo scopo è distruggere la tua esistenza anche solo instillando una costante paura di esistere come persona. Questo inevitabilmente porta all'annientamento della personalità e alla crescita di una rabbia distruttrice di sé ma anche degli altri.
La contiguità con la paura diventa contiguità con la morte, la maggiore capacità di difesa all'interno di un clan aumenta la potenzialità di violenza, anche all'interno della propria comunità: se la propria singola vita non ha valore anche quella degli altri non ne ha. L'alternativa è l'auto distruzione individuale: smorzare la paura e la rabbia con l'alcool o la droga.

"Anche se la morte prendeva molte forme, anche se la gente moriva presto in molti modi diversi, la morte in sè era molto semplice e anche la causa era semplice: semplice come un'epidemia: si era ragazzi che non valevano un cazzo e tutto quello che vedevano attorno stava lì a confermarlo: Lottavano, lottavano, ma cadevano come mosche e si riunivano al mucchio di immondizia delle loro vite, come mosche." (pag.41)

Stupisce infatti, leggendo il libro di Ryan Gattis, "Giorni di fuoco"** sulla rivolta di Watt LA del '92, non tanto l'estrema violenza, anche gratuita, che in quei giorni sconvolse la città, ma l'indifferenza verso la morte non solo degli altri ma anche propria. L'unica cosa che aveva valore per i giovani componenti delle gang che vi presero parte era l'appartenenza al gruppo, unico luogo sociale dove trovare la propria identità negata; la morte e la sofferenza erano messe in conto, il valore da salvare era la fedeltà alla banda e la vendetta.  Se come dice Toni Morrison "Uno scopo del razzismo è identificare un estraneo così da definire il proprio sé"*** quando si è inseriti nell'estraneità da una buona parte della società, una delle armi che rimane è crearsi altri estranei nei confronti dei quali affermarsi come entità specifica. 

James Baldwin, però, nel suo libro non vuole parlare di rabbia, ma di amore, di relazioni interpersonali autentiche come reazione alle continue ingiustizie perpetrate, enucleando personaggi che ne sono portatori in vario modo.
Un ragazzo, Fonny, e una ragazza, Tish, si conoscono da quando erano piccoli e da allora sono stati sempre insieme, si sono innamorati l'un dell'altra di un amore profondo, sincero, sono carichi di vita e di speranze: fanno progetti per la loro vita insieme, avranno un bambino. Una situazione normalissima se fossero bianchi, ma sono neri. Hanno lavori precari, non soddisfacenti e anche umilianti, la loro condizione è sotto la spada di Damocle degli imprevedibili eventi che il razzismo potrebbe mettere in atto contro di loro. Lui ha una passione, scolpisce il legno e anche la pietra ed è questo, oltre all'amore per Tish, che gli darà una ragione di vita, anche quando verrà incolpato e incarcerato per uno stupro che non ha commesso: un poliziotto bianco, simbolo del peggiore e radicato razzismo americano, costruisce le prove contro di lui.  Intorno ai due giovani ci sono le loro famiglie: unita, comprensiva, amorevole quella di lei, sia nel comportamento dei genitori che della sorella più grande, più conflittuale quella di lui, con un padre attento, carico di umanità e disponibilità, una madre invasata di fanatismo religioso e due sorelle che mancano non solo di autenticità personale, ma anche di identità perché perse in quella terra di nessuno che è il meticciato, non abbastanza bianche, non abbastanza nere.
I due padri, la madre e la sorella di Tish, danno il loro massimo, anche rischiando personalmente, per aiutare Fonny a scagionarsi; una serie di amici, (guarda caso un ebreo, alcuni sudamericani e una italiana) sono solidali con la coppia, anche l'avvocato bianco farà onestamente del suo meglio per tirare fuori Fonny dal carcere. Tish, con il suo bambino in grembo, è protetta dalla sua famiglia con amore e con orgoglio.

Non è la rabbia, nè la violenza a muovere i personaggi ma l'affetto che li lega, il rispetto, pur nella consapevolezza della violenza e della precarietà che minaccia la loro vita, Baldwin oppone all'ordinaria ferocia del razzismo - polizia, sistema giudiziario, "razza" bianca - l'ordinaria storia d'amore tra due ragazzi e la solidarietà di chi li circonda.
E' Tish la voce narrante, all'inizio con uno stile più sincopato ma che poi si distende nel raccontare la sua storia, intercalando il presente con flashback del passato. L'amore contro l'odio, la solidarietà all'interno del gruppo contro la violenza della strada.
Il periodo in cui si svolge sono i primi anni '70, il luogo Harlem.  Il titolo originale è "If Beale Street could talk" e Baldwin scrisse: «Beale Street è una strada di New Orleans****, dove sono nati mio padre, Louis Armstrong e il jazz. Ogni afroamericano nato negli Stati Uniti è nato in Beale Street, è nato nel quartiere nero di qualche città americana, sia esso a Jackson, in Mississippi, o Harlem, a New York. Beale Street è la nostra eredità. Questo romanzo parla dell’impossibilità e della possibilità, della necessità assoluta, per dare espressione a questo lascito. Beale Street è una strada rumorosa. Lascio al lettore il compito di discernere un significato nelle percussioni dei tamburi».
Quindi quella del titolo è la strada, quale essa sia, all'interno dei vari ghetti afro-americani delle varie città d'America, dove si incontrano e si scontrano le contraddizioni sociali, dove ci si esprime con la musica, con la danza, retaggio di quella Congo Square di NO, dove gli schiavi all'inizio del'800, godendo di possibilità escluse in altri luoghi del sud statunitense, si riunivano la domenica per suonare ballare, fare commercio e avere un pò di tempo "libero".