Film complesso e stilisticamente eterogeneo, difficile o troppo facile da interpretare che lascia il dubbio se quello che comunica sia ermeticamente espresso o solo veicolato in forme stilistiche che ricercano un linguaggio poetico meno diretto, più evanescente e, quindi, di più difficile comprensione.
Il film, se non ha contenuti nascosti in simbolismi da stanare a cura di spettatori più esperti e competenti di me, parla della vita e degli interrogativi che da sempre l’uomo si è posto e a cui non è riuscito a dare risposta se non inventando un’entità sopranaturale da cui tutto dipende, o un inserimento cosciente nella natura e nei suoi ritmi, sentendosi partecipe di un esistenza ciclica di cui è una particella che lì trova il suo scopo di esistenza. Ma spesso questo non basta perché la vita ti pone di fronte dolori per i quali non si trovano ragioni.
L’ambiente è quello di una tipica famiglia americana degli anni ’50, una madre affettuosa, un padre padrone (poi pentito) tutto proiettato sul lavoro e la crescita sociale ma dalla sensibilità artistica, e tre bambini. In un tempo non descritto, nella sequenza storica della famiglia, uno dei figli muore, quello che noi vediamo è un periodo precedente al doloroso evento ed uno successivo imperniato sulla figura del figlio maggiore che ripercorre e ripensa alla sua infanzia, alla sua vita, ai suoi affetti famigliari, che cerca di comprendere quello che ha vissuto e di capire le persone che di quel vissuto hanno fatto parte, i membri della sua famiglia non solo nel loro ruolo di genitori, figli, fratelli, ma anche come semplici persone.
È come se lui agitasse una bottiglia, dentro tutta la sua vita che si stratifica, che si mescola in un attimo, è tutta lì a rappresentarlo, come se il tempo, nel momento del ricordo del ripensamento, non avesse dimensione e tutto si concentrasse in un unicum, da cui di volta in volta un episodio, una persona si intravedono con maggior evidenza ed escon fuori. Dal regista questo concetto è reso, almeno a mio avviso, con un immagine molto simile ad una del film di Eastwood Hereafter, quella in cui in un luogo non identificabile il protagonista rivede le persone a lui care ed anche se stesso in vari stadi della vita fluttuare in una dimensione non riconoscibile, ( nel film di Eastwood le persone erano solo quelle oramai non più in vita).
Nel film ci sono espedienti stilistici che il regista usa per inserire nella semplice narrazione elementi che la superano, quali le voci fuori campo ( già molto usate nel film La sottile linea rossa quasi ad imitare un monologo interiore filmico) che, se pure si intuisce da quali personaggi possano provenire, rivolgono domande universali e per lo più rievocano il conosciuto grido di dolore “ dio perché mi hai abbandonato”, ed immagini fantasmagoriche e d’effetto sull’universo e la nascita di esso, che, oltre a ricordare “2001 Odissea nello spazio”, sono di carattere quasi documentaristico.
Anche questi espedienti sottolineano la dualità di scelta, enunciata ad inizio film, tra natura e religione, tra stato di grazia e scienza, nel percorrere la propria vita; il regista a parer mio non da risposta, non fa scelte tra queste due opzioni, solo si e ci interroga sul perché la vita a volte ci ponga di fronte a dolori quasi insopportabili e sul dove trovare il conforto necessario a continuare.
Molte le cose ancora da dire ma che ora mi sfuggono, quale per esempio il perché del titolo, L’albero della vita, che sicuramente rimanda alla natura ma forse anche metaforicamente alla linfa vitale che lo stato di grazia può dare all’esistenza; o il significato del deserto come luogo simbolico (forse posso rimandare al mio posto sulla Monument Valley a questo proposito); oppure che la nota stonata del film forse sono le immagini da Jurassic Park che ad un certo punto vengono inserite.
Al di là del significato palese o nascosto del film, la cosa che lo rende “un film da vedere” è il suo valore estetico, l’alternarsi di immagini reali e surreali, scientifiche e spirituali, il velo armonioso che le lega e ne fa forse se non una poesia uno spleen, invece che di parole, di immagini.
Ecco, Maria, se io lavorassi in un quotidiano ti proporrei per la pagina dove vengono recensiti i film (ma anche i libri...). Sei riuscita a dire tanto su una pellicola che, da quanto ho sentito, è rimasta incomprensibile a molti. A questo proposito mi viene in mente una frase che hanno detto l'altra sera a Hollywood Party: un conduttore o un ospite, non ricordo, ha detto che in un cinema l'operatore ha montato la pellicola di The tree of life al rovescio e che nessuno, fra il pubblico se n'è accorto. Certo, ha voluto fare una battuta, però questo la dice lunga sulla complessità del film...
RispondiEliminaAncora una volta: brava, Maria!
Ciao con abbraccio.
Milvia
@Milvia, naturalmente grazie, e poi ...sai stavo pensando ...se ha un senso la mia metafora della bottiglia e del tempo, il film non ha una sua precisa cronologia degli eventi e quindi...anche al contrario potrebbe andar bene.. chissà...!! :-)) un abbraccio mia fedele lettrice e commentatrice
RispondiEliminaDurante il festival di Cannes, avevo ascoltato per radio questo intervento di Enrico Ghezzi, traboccante di entusiasmo:
RispondiEliminahttp://www.wuz.it/recensione-dvd/5915/malick-terry-the-tree-oflife-film.html
Devo dire che, sia pur grazie all'effetto di somma con quel commento, mi ha messo molta più voglia di andare a vedere il film la tua recensione, che è molto chiara e molto sincera nell'ammettere i limiti di uno spettatore 'normale' di fronte ad un'opera complessa.
Un saluto caro a te, e grazie per l'ottima segnalazione.
Caro Franz, grazie della tua visita e della traccia lasciata ed anche del link, che sono andata a leggere. Pensavo di trovare "una cosa alla Ghezzi" ed invece era tutto molto comprensibile! :-)
RispondiEliminaMi fa piacere di aver sollecitato la voglia per una visione del film che, appunto, secondo me, va visto, ed anche, che tutto sommato, il mio commento non si discosti molto, nei tratti essenziali, da quello di Ghezzi che certamente ha più titolo a recensire e che naturalmente coglie cose interessanti ed illuminanti che a me, sono sfuggite!! Insomma un pò ci ho azzeccato!! :-))
ehi ti ho visto sul giornale! insieme alla nostra cara amica Milvia, i vostri volti erano belli sorridenti e spero che quel sorriso rimanga anche domani dopo le 15! a buon intenditore poche parole...
un caro saluto franz e spero a presto ancora de visu
maria
Il tuo auspicio si è avverato in modo netto e indiscutibile.
RispondiEliminaSono convinto che lo stesso sorriso abbia illuminato il tuo volto quando è stato diffuso il risultato, ieri pomeriggio.
Speriamo di vivere altre vicende altrettanto epiche, e di poterne gioire ancora insieme (e magari anche de visu...!)
Un salutone a te.