lunedì 16 febbraio 2015

American sniper di Clint Eastwood


Il film è tratto da un libro, l’autobiografia di Chris Kyle, protagonista del film, texano, cow boy come lo si può essere oggi; la sua vita scorre nella normalità della provincia, i principi che lo sorreggono sono quelli classici e radicati nella tradizione americana-Dio Patria Famiglia- e uno in particolare, trasmessogli dal padre, quello di essere il “cane pastore”, colui che è in grado di usare la propria forza, al di là di considerazioni morali consolidate, per difendere le pecore (le vittime) dai lupi ( coloro che consciamente usano la loro forza in modo spietato a danno di altri). Quando vede le immagini degli attentati in Kenya prima e poi quelli alle Torri gemelle, decide senza la minima esitazione, di diventare per gli Stati Uniti il cane pastore di cui parlava il padre, di usare la sua infallibile mira per difendere la propria nazione. Diventa così, dopo un addestramento che prelude alla ferocia della guerra, cecchino in Iraq in quattro missioni, e la sua bravura è tale da essere chiamato dai suoi commilitoni “The Legend”.
Difficile parlare di questo film per chi come me apprezza la filmografia di Eastwood, ci si trova di fronte a un film sulla guerra, specificatamente la seconda in Iraq, che non pochi problemi, anche al di là di aspetti ideologici, ha causato a vari livelli, umanitari e geopolitici, e che basata su false e opportunistiche legittimazioni ha scoperchiato il vaso di pandora del medio oriente, di cui oggi vediamo le ultime atroci conseguenze.
Difficile perchè, almeno a me, mette in imbarazzo il contrasto tra l'indubbio valore stilistico e contenutistico del film e lo sbilanciamento che si avverte nel racconto delle due parti in gioco, statunitensi e iracheni.
Una chiave di lettura che mi viene da utilizzare prende spunto da quel " lupi agnelli cani pastore".

E' una metafora che, anche se non palesata come in American sniper, è spesso usata nei films di Eastwood e nella cultura americana, di cui lui, nel bene e nel male, è portatore.
La nascita del "grande paese" si è concretizzata come una occupazione violenta dei vasti territori da parte di soggetti dalla più varia provenienza e spinti da molteplici motivazioni.
Da quel coacervo di personaggi che realizzarono l'occupazione da est a ovest, dalle innumerevoli situazioni che si crearono di sopraffazione, razzismo, violenza gratuita, crudeltà efferate, da tutte le spinte che quegli uomini e donne portavano con sè, speranze, paure, disperazione, voglia di riscatto e felicità, una figura riscuoterà un aurea di leggenda, quella del "pistolero buono", il Chris Kyle della frontiera, il cane pastore che, pistola in mano vendicherà e impedirà soprusi ristabilendo un senso di giustizia umana non supportata da leggi, ma tutelata da quella stessa violenza che l'ha calpestata. Cito alcuni dei titoli della filmografia di Eastwood in cui è presente il "cane pastore", Il texano dagli occhi di ghiaccio, La città senza nome, Gli Spietati, Gran Torino e, forzando le parti in gioco, anche Million Dollar Baby dove l'ordine da ristabilire riguarda il senso della vita.

The Legend  esce dal cerchio ferito della sua nazione, ed esporta il mito.

Eastwood ha diretto films di una umanità intensa e di una sensibilità profonda, ponendo temi duri, ostici privati e sociali e se pure ci ha dato punti di vista poli-prospettici in pellicole quali The Flags of Our Fathers e Iwo Jima restringe qui l'occhio della sua telecamera e la prospettiva del film alla visuale circoscritta del mirino da cui Chris combatte la sua guerra.

E' attraverso quella visuale che Kyle individua le sue vittime, il suo colpo non partirà se non dopo individuali sofferte decisioni, i suoi primi nemici uccisi saranno un bambino e sua madre che tentano di colpire una postazione statunitense.

 La guerra del protagonistadi Kyle è ripetitiva, giorno dopo giorno, come un'operaio infila bulloni nella catena di montaggio fordiana, lui preme il grilletto e infila proiettili in corpi umani, e seppure lo fa con discernimento, l'alienazione finirà per scalfire anche la sua convinzione.

Non è un film a favore della guerra e non mi sembra grondi patriottismo come alcuni hanno rilevato, l'assurdità della guerra è presente nei detriti sminuzzati delle abitazioni irachene, nella polvere delle macerie che ricopre tutto e rende monocolore un mondo intero e i suoi abitanti. C'è un contrasto imbarazzante tra quel colore e il verde del Texas, il verde dei prati delle case ordinate dove bambini felici giocano e non hanno granate nascoste sotto i vestiti. Ma la sabbia è fine, sottile e si insinua anche nella mente dei soldati americani e profanerà il verde di quei prati quando torneranno a casa e anche quando non torneranno più inariderà la vita in quelle case ordinate.

Sarà proprio una tempesta di sabbia dalle proporzioni apocalittiche ( grandioso effetto scenico) che segnerà il momento finale dell'esperienza di Chris in Iraq. La sabbia renderà tutto confuso e indistinguibile ma non prima che Kyle abbia ucciso con un tiro incredibile il suo alter ego, il cecchino iracheno che come lui protegge dall'alto dei tetti i suoi compagni di guerra. La pallottola a rallenty supererà una distanza enorme fino a colpire il bersaglio e simbolicamente ucciderà anche Chris stesso come cecchino, tornerà a casa per rimanerci, ma la guerra se la porterà dietro e se la ritroverà nell'ordinato Texas, in quei reduci che non riescono a fare "pace" con l'orrore che hanno vissuto.


 Kyle, dopo un primo momento di smarrimento riuscirà a tornare a essere marito e padre affettuoso a rientrare nella normalità della vita, il senso della sua missione è così radicato in lui che a dialogo con uno psicanalista ammetterà di non avere sensi di colpa, di aver fatto ciò che doveva e convertirà il suo ruolo di soldato in quello di assistenza ai reduci con problemi di reinserimento nella quotidianità.
Sarà uno di loro ad ucciderlo, è in corso in questi giorni il processo a suo carico.
The Leggend morirà in suolo americano colpito da fuoco amico, in un  finale che ha del  grottesco se non fosse drammaticamente vero. La guerra, una volta che l'hai fatta, ti rimane addosso.



 Come epilogo di quanto detto sin qui, seppure è da tenere conto che il punto di partenza del film è quello soggettivo di un soldato e quello che racconta è la "sua" guerra, salta agli occhi che la descrizione delle parti in campo pecca di obiettività storica; gli americani erano in Iraq come forza di occupazione, gli iracheni difendevano il loro territorio e la loro vita, il gioco delle parti si inverte automaticamente: i lupi sono gli americani, le pecore la popolazione civile, i cani pastore quelli che le difendono; il terrore che tra le macerie si vive è quello dei bombardamenti continui, della paura che da un momento all'altro soldati con mitra in mano sfondino la tua porta di casa, che uccidano te e la tua famiglia o che la prelevino per portarla in luoghi di sofferenza; la condotta degli americani risulta sempre corretta e ponderata, per quanto in una situazione di guerra lo possa essere, mentre quella degli iracheni feroce e crudele, il punto di non ritorno di questo squilibrio è proprio nella scena in cui un bambino, per ritorsione, viene ucciso in un modo orrendo da un personaggio della guerriglia irachena. Per quanto possa essere vero, e lo sarà purtroppo, non può essere lasciata lì senza che venga raccontata anche la ferocia degli americani, anche se Chris nella sua biografia non ne fa menzione, e non perchè questo giustifichi in qualche modo quell'orribile gesto ma per un senso di onestà storica, che possa dare allo spettatore una visione più giusta di quello di cui si racconta. Nulla scalfisce la coscienza dei soldati americani nel film se non incidentali segni di cedimento da parte di un soldato che poi morirà e da parte dello stesso fratello di Chris di cui poi non ci è dato sapere più nulla. 
Si avverte, insomma, alla fine del film una necessità di giustizia che ristabilisca la verità dei fatti al di là della guerra personale che viene narrata. 
 Clint ha diretto un bel film, ma la sua attenzione alla fragilità umana, alla sofferenze dell'essere e del vivere, si è offuscata nel raccontare una leggenda.





















5 commenti:

  1. Bentornata, Maria! Dopo un anno finalmente ho il piacere di leggere un tuo nuovo post. E ci ritrovo la tua grande capacità di analisi che rende le tue recensioni di film e libri una guida preziosa per spettatori e lettori. Non ho visto American Sniper, probabilmente lo recupererò la prossima estate. Sai che faccio? Stampo la tua recensione, e la rileggerò dopo aver visto il film: sono certa che sarà un ottimo mezzo per comprendere meglio la narrazione del film. Grazie, Maria cara, e non lasciare trascorrere un altro anno, eh...

    Milvia

    RispondiElimina
  2. Grazie! A dir la verità scrivere qualcosa su questo film mi ha creato non pochi problemi, alla fine je l'o' fatta! ( detto alla romana), sarò curiosa di sapere le tue impressioni sul film quando lo vedrai, ciao Milvia, proverò a scrivere con maggiore assiduità! :-)

    RispondiElimina
  3. Ciao Maria,mi piace molto la tua analisi approfondita che spazia oltre il film, facendo capire la tua consuetudine verso la cultura americana. Poi,l'impaginazione è molto curata,brava.Un abbraccio

    RispondiElimina
  4. Davvero una bella recensione, Maria, attenta, articolata e profonda! Io il film l'ho visto e ne sono uscita con una forte senzazione di malessere per l'orrore della guerra che viene rappresentata in tutta la sua violenza e assurdità, ma anche con il dubbio che il messaggio per gli spettatori potesse essere equivoco perché non è così chiaro che sia un film contro la guerra. Ossia sicuramente lo è, ma l'impressione è che fra le righe dica anche che "certe" guerre sono sante, giuste e inevitabili e chi le fa è indubbiamente un eroe. Certo è chiara la denuncia della violenza dell'addestramento militare, dell'alienazione a cui vanno incontro gli uomini che si allenano a quella scuola di ferocia, dell'assurdità di un sistema che annienta vite che sono vite uguali a quelle dell'altra parte...però, però, avrei desiderato uno schieramento più chiaro e netto da parte di Eastwood che, invece, soprattutto nella parte finale indulge molto ad un patriottismo di bassa lega senza se e senza ma... Grazie, Maria cara, e riprendi la tua attività sul blog che è sempre molto interessante!
    Luciana

    RispondiElimina
  5. @ Patrizia, mi fa piacere ti sia piaciuta, dopo lunghi discorsi, sono riuscita poi a scriverne qualcosa :-) e grazie del commento!
    @Luciana, grazie ance a te! :-), le tue considerazione sono giuste e corrispondono un pò ad alcune mie sensazioni, sopratutto il fatto che potesse essere interpretato da alcuni come un film semplicemente guerrafondaio e patriottico,solo che per me c'era qualcosa in più rispetto all'evidenza, e tirarlo fuori è quello che ho cercato di fare, la precedente filmografia di Eastwood, sopratutto l'ultima sua parte, mi ha spinto a farlo.

    RispondiElimina