domenica 15 maggio 2011

La libertà di Franzen



Non amo molto la narrativa minuziosa nella descrizione degli avvenimenti che accadono e degli sviluppi emozionali dei protagonisti che li abitano, mi piace di più il non detto ma lasciato intuire, la sospensione, l’accordo non risolto che lascia vagare la mente nella propria emotività, nell’istintività di comprensione, nello sforzo intellettuale dello scoprire quello che si legge, preferisco che con una frase si accenni piuttosto che sviscerare completamente il pensiero che si vuole esprimere, preferisco avere quel momento in cui alzando gli occhi dal libro lo percepisco.
Il libro di Franzen quindi non mi piace molto, mi interessa ma non mi convince nella sua interezza di opera artistica narrativa.
Mi interessa però appunto quello che in tante pagine ci vuole comunicare. Non credo come molti hanno detto, che sia un capolavoro, né che sia il grande Romanzo Americano, non ravvisando al suo interno quelle specificità che lo possano far leggere come tale, un‘originalità, insomma, rispetto alla produzione letteraria americana; non è presente una particolare chiave di lettura nel descrivere un nucleo familiare che cerca di vivere all’interno di quella determinata società, non ha i connotati di eccezionalità letteraria, ma, anzi, una modalità di narrazione già letta e, per di più, troppo particolareggiata.
Tema e titolo del libro la “Libertà”, parola chiave nella costruzione della società americana anzi “la” parola di approccio ad essa, su di lei si è costruita l’America e sulle contraddizioni che la realizzazione pratica del concetto di cui è espressione ha messo in essere.
La libertà è quella con cui i suoi abitanti autoctoni attraversavano quel grande paese, la libertà dallo sfruttamento insensato di quello che avevano a portata di mano e quella della possibilità di goderne in armonia con esso; la libertà che pensavano di ottenere coloro che scappavano dalle oppressioni politiche, religiose, sociali del vecchio continente; la libertà che uno spazio così grande faceva sentire a chi lo attraversava per la prima volta.
Libertà che è stata poi assunta come motore di azione di un intera nazione nei rapporti interni ed esterni, nell’agire dei singoli individui e dello stato, senza che se ne fosse elaborata una modalità di esercizio che riuscisse a tener conto delle mille libertà concrete e non solo di un concetto astratto e demagogicamente usato per esercitare un potere senza vicoli.
Libertà che si è concretizzata, sin dagli albori della formazione dell’America, nello sfruttamento da parte di pochi delle molte risorse sia materiali che umane, nel convincimento che per mettere in atto le proprie libertà si potesse esercitare la schiavitù in varie forme, che il proprio destino fosse quello di condizionare il mondo intero per garantirsi la libertà di agire a proprio piacimento ed interesse.
Ma seppur  il libro di Franzen rimanda ad un concetto generale di libertà all’interno della società americana, ne fa sopratutto, a mio avviso, un problema individuale dei singoli personaggi.
Quali i limiti che, nella presa di coscienza di se stessi e del mondo circostante, sia a livello sociale che individuale, chiunque deve imporsi nell’esercizio della sua libertà?  E come nella ricerca della felicità, sancita peraltro dalla stessa Costituzione americana, si può esercitare questa libertà?
La risposta che mi viene da dare dopo la lettura del libro di Franzen, è che lui sposta il problema dal livello generale ad uno propriamente individuale, la libertà che ci può permettere di vivere in armonia con l’altro è la libertà da se stessi, dai propri incastri mentali che si formano per indole strettamente personale e per come le vicende familiari e sociali le modellano e le sviluppano.
La libertà di essere felici insieme agli altri comporta una presa di coscienza di quello che si può dare, di quello che si vuole avere e di quello a cui si può rinunciare, un sforzo nel tentativo di conoscersi, di riconoscere i propri errori, e di comprendere le necessità degli altri per capire se possano essere accettate come condivisibili, unico limite invalicabile è quel nucleo di se stessi senza il quale non ci riconosceremmo più.
Tutto ciò è possibile solo quando tutto ciò viene realizzato su una base di autenticità e verità, giocando a carte scoperte, sia le proprie che quelle dell’avversario/ amante/ figlio/ amico/ compagno/genitore etc etc…..
e non è facile…….e riguarda non solo la libertà ma anche la capacità di vivere.

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2 commenti:

  1. La prima parte della tua recensione, cara Maria, dove esponi quello che non ti piace trovare in un libro e quello che, al contrario ti piace trovare, mi trova d'accordo, e farebbe felice anche un bravo docente di scrittura creativa, perché il tuo pensiero corrisponde alle regole per essere un buono scrittore che vengono insegnate, appunto, nei laboratori di scrittura.
    Per la parte che specificatamente riguarda il romanzo di Franzen , non avendo letto il libro e non potendo quindi essere d'accordo o contestare il contenuto della tua analisi, mi vien solo da dire che ancora una volta ti dimostri una lettrice non superficiale, che un libro non lo divora ma lo assapora, che non si limita a leggere la storia passivamente, ma scava nel profondo, e che poi, una volta finito la lettura sa riportare, con onestà e intelligenza e chiarezza le impressioni che ne ha tratto. Insomma,leggere le tue recensioni è un vero piacere.

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  2. @ Milvia, mia fedele lettrice!! ( ed amica naturalmente :-)) ) non posso che ringraziarti di nuovo per quello che dici, sia per la tua puntualità nel leggere il mio blog, sia perchè so che i tuoi commenti sono sinceri, sia perchè son lasciati da persona competente in queste cose.
    Non immaginavo proprio, nella prima parte del post, di esprimere preferenze avvalorate da chi sicuramente più di me ne capisce di scrittura , anzi la insegna....
    un abbraccio, Milvietta.

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