giovedì 20 gennaio 2011

Due versioni di come si infrange il sogno americano

Di Philipp Meyer "Ruggine americana" Einaudi 
traduzione di Cristiana Mennella 

Ruggine delle fabbriche smantellate,
 ruggine delle speranze disfatte, del futuro mancato,
ruggine degli animi senza prospettive, di cuori senza amore,
di vite abbandonate a se stesse, di sogni interrotti..
ruggine del sogno americano disilluso.

La ruggine del libro è quella che la crisi economica “alimenta” nelle grandi fabbriche dell’acciaio nella provincia americana ( Pensylvania) e che provoca disoccupazione e tutto quel ne consegue per le popolazioni che ne restano coinvolte; all’interno di questa cornice si inseriscono le vicende private dei protagonisti, tutte con livelli alti di drammaticità causata sia dalle situazioni sociali che da quelle personali.

L’autore, al suo romanzo d’esordio, ci descrive il disfacimento di una comunità che dalla prosperità economica passa alla disperazione della povertà e a quello che a  livello psicologico ne deriva e lo fa attraversando la vita dei personaggi al cui interno innesta un evento criminoso che esaspererà il già difficile svolgersi delle storie personali.

Il libro è scandito in capitoli intitolati ai singoli personaggi e garantisce così una approfondita analisi psicologica degli stessi senza perdere lo sguardo d’insieme del mondo in cui si muovono e con il quale interagiscono e dal quale sono naturalmente influenzati in un gioco di specchi che si rinfrangono l’un l’altro.

Lo stile è asciutto ed intenso, monologhi interiori sottolineano l’introspezione dei personaggi, abitati da tensioni morali nella ricerca dell’individuazione della linea di demarcazione tra il bene ed il male, che spesso risulterà spostata, rispetto ai normali canoni ,da un senso di giustizia “naturale” più che legale.

Si ritrovano all’interno della narrazione tematiche tipicamente americane, quali una importante presenza della natura a volte ostile a volte unica consolazione per gli animi alla ricerca di una qualche felicità, che, per quanto promessa da tante mistificazioni della realtà, è negata poi dallo svolgersi pratico degli eventi. Una natura che senza fretta, padrona del tempo, comincia a ricoprire le macerie delle fabbriche dismesse riprendendosi il proprio spazio. Ed è al suo interno che si sviluppa un altro mito dell’immaginario americano, quello della fuga, dello spostamento verso luoghi altri, quello della libertà da realizzare superando, di volta in volta, frontiere fisiche e/o mentali. Fuga che intraprende uno dei personaggi principali e che corre parallela ed in contrasto con la fissità dell’altro  protagonista principale, prima voluta e poi imposta dalla struttura, la più coercitiva possibile, del carcere dove finisce.

In mezzo a tutta questa ruggine che corrode cose e vite, ciò che si salverà saranno i valori della lealtà, dell’amicizia, di un senso di giustizia umana che va al di là delle convenzioni e che non sempre può fare a patti con le regole stabilite dalla società.

E’ un romanzo di ampio respiro, in cui paesaggio e società fanno da sfondo a personaggi ed emozioni, una vena noir lo attraversa e ne intensifica la tensione,  l’autore non è mai troppo indulgente né accusatorio, la sua attenzione è posta  nella ricerca dell’autenticità dell’essere umano senza edulcorazioni né nette condanne, in quel realismo tipicamente americano essenziale e scevro da fronzoli stilistici e narrativi.


Di Horace McCoy "Sarei dovuto restare a casa" BUR,
traduzione di Teresa Albanese



Un altro libro, completamente diverso da quello precedente  ma ad esso collegato per una tematica comune, la decomposizione del sogno americano, è “Sarei dovuto restare a casa” di Horace McCoy
Siamo negli altri trenta del secolo scorso luogo LA, specificatamente Hollywood, personaggi principali un ragazzo ed una ragazza che, come mille altri come loro, hanno dato credito all’illusione
del diventare famosi..come Gary Cooper o chi per lui… illusione alimentata dai rotocalchi che magnificavano la vita degli attori che dal nulla erano arrivati alla celebrità, alla ricchezza…alla felicità….feste fastose, disinibizione, soldi a cascate, sesso facile, e tanta tanta fama….
Ma è la fame che riempe le giornate dei protagonisti e il problema di sbarcare il lunario, di pagare l’affitto ..nell’attesa spasmodica che il telefono squilli con l’opportunità tanto agognata….ed il prezzo che pagano è la dissoluzione morale delle proprie identità fino al suicidio…
Libro profetico e spietato che di quel sogno americano in particolare ne fa carta straccia con lucidità e stringatezza. Forse ci ricorda qualcosa anche se con quasi un secolo di distanza? Interessante postfazione di  Giancarlo De Cataldo.










4 commenti:

  1. Molto interessante. Recensioni che davvero invitano alla lettura.

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  2. Esattamente come nei confronti degli States, ho un rapporto personale un po' difficoltoso anche con questo bel blog che sta muovendo con sicurezza i primi passi.
    Nel lungo commento che avevo lasciato al primo post (misteriosamente scomparso l'indomani) ti dicevo proprio della mia titubanza nell'avvicinarmi a pagine, come queste, che parlano di quel mondo e di quella cultura, verso la quale nutro un senso di insofferenza per le troppe influenze che ha esercitato sulla formazione delle nostre generazioni, e di rabbia per i danni irreversibili all'ambiente provenienti da quella terra e da parte di quella cultura. E concludevo ammettendo che quelle tue immagini, dai colori forti e dalle luci nitide, fanno comunque sognare, e che quelle tue note, così partecipate, fanno comunque riflettere su quanta anima, 'soul', c'è anche, "addirittura", in quella cultura.
    Il sogno americano rischia di diventare un incubo per l'intero pianeta, oltre che per larghi strati della stessa popolazione statunitense, e gli scrittori più accorti e sensibili, anche tanti americani, ne danno testimonianza, come nei due libri di cui hai scritto queste belle e alquanto invoglianti recensioni.

    Un caro saluto a te, e ancora auguri per questa tua creatura!

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  3. Ho sognato l'America, nella mia adolescenza, influenzata, direi soggiogata, dalla sua cinematografia e dalla sua letteratura, dalla sua musica. Poi il sogno si è infranto, è affogato nelle risaie del Vietnam, e penso proprio che non riaffiorirà più.
    A fronte di tanto sfacelo che gli States hanno procurato e stanno tuttora procurando a loro stessi e nel mondo, esistono tuttavia scrittori, registi cinematografici che hanno una profondità di pensiero e una capacità di autocritica che mi pare manchi agli intellettuali del nostro Paese.
    Ma questo non è sufficiente a farmela amare, l'America. E un po' mi rimane, dentro, la nostalgia per il mio sogno di adolescente.
    Due belle recensioni, Maria. Altre due tentazioni per la mia... bulimia libresca.

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  4. @franz @ milvia
    Grazie Franz per gli auguri e per il tuo commento incoraggiante e sincero. Capisco
    (rispondo anche a Milvia) quello che tu/voi dite e lo condivido anche, sono sempre stata molto critica verso gli states ed il loro modo di incidere sul resto del mondo a vari livelli; la storia del loro formarsi mi ha sempre interessato, in particolar modo le contraddizioni che al suo interno si sono sviluppate e continuano a sussistere. Sono proprio queste contraddizioni che stimolano la mia voglia di conoscere quel paese fino in fondo, perchè comunque al loro interno vivono forme di ribellione e di autenticità che credo si siano perse nella vecchia europa. Sarebbe lungo in questa sede elaborare questo pensiero, spero di riuscirci, un pò per volta, con questo mio blog a tema,
    un caro abbraccio a tutti e due

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