domenica 6 marzo 2016

The hateful eight


(per chi ha già visto il film)









Nell’ottavo film di Tarantino gli otto protagonisti sono veramente pieni di odio e odiosi loro stessi, e non stanno lì a testimoniare solo la loro odiosità ma anche quella che ha caratterizzato la nascita e la formazione degli states. Sette uomini e una donna, un boia, un messicano, un soldato confederato, uno sceriffo, due bounty killer, uno bianco che non uccide le sue vittime ma le porta al patibolo, uno nero che si trascina dietro i cadaveri per riscuotere, un mandriano, una prigioniera del bounty bianco.










Le scene iniziali sono quanto di più classico del genere, una diligenza si muove in ampi spazi innevati, il paesaggio è grandioso e carico del fascino tipico del territorio americano, una bufera di neve sta per scatenarsi e l’ambientazione si sposterà e restringerà all’interno di una locanda dove gli Hateful si comporranno nel loro numero di otto.

Da qui inizia qualcosa di diverso che somiglia quasi al teatro, la scenografia si limiterà ai soli interni e si innesterà un vero e proprio whodunit (schema del giallo classico) la cui struttura è ben architettata e piena di suspense, creata da colpi di scena e dal gioco creato dall’ambiguità di alcuni personaggi.
Il compito “dell’indagine” è affidato al nero,
che come un detective di tutto rispetto, svelerà, attraverso l’interloquire serrato e quasi logorroico dei protagonisti, l’identità dei personaggi e il mistero della loro presenza in quel luogo; qui però il detective non ha i connotati tipici della crime story, non è colui che stando dalla parte della legge ricompone la realtà dopo che è stata violata dal male, rappresenta egli stesso il male, quello che ha subito e quello che ha inferto.
Il ritmo, in questa parte, è estremamente lento come la neve che passa dalle fessure del tetto all’interno della locanda, la bassezza umana degli hateful verrà fuori per ciascuno di loro, come pure la detestabilità dell’ambiente sociale in cui si muovono: la schiavitù, i grandi e piccoli razzismi, il sessismo estremizzato, la violenza e l’ingiustizia di un mondo che si andava formando sulla sopraffazione e la distruzione di uomini, culture e ambienti.

La complessità dovuta alle tante cose che vengono dette nel film, meriterebbe una seconda visione per poterne decifrare meglio i contenuti. C’è, sicuramente, una riflessione su cosa fu la grande mattanza della guerra civile, di quanto le motivazioni che la causarono fossero pretestuose e false come la lettera di Lincoln che possiede lo schiavo liberato e che verrà stracciata alla fine del film, fa intuire le varie efferatezze compiute durante e dopo il suo svolgimento e la profonda lacerazione che, da allora fino a tutt’oggi, si è creata tra nord e sud.

Dopo la lentezza della parte centrale, dopo la soluzione dell’enigma, tutto esploderà nel reciproco annullamento, nulla di più di quanto succedeva nella realtà da quelle parti e in quei tempi, in molte situazioni e a vari livelli di conflitti personali e sociali. Tutto precipiterà fino ad arrivare a una impiccagione all'interno della casa, e seppur l’eccesso di violenza è una peculiarità tarantiniana, in questo caso non ha le connotazioni grottesche e pulp che ne annullavano la drammaticità in altri suoi films,  ma risulta tremendamente vera.

                                                 
 In quella stanza dove tutto si svolge sembra racchiudersi la storia
intera di una nazione con le sue contraddizioni mai risolte, la sua sete di libertà individuali senza rispetto ma a dispetto degli altri, il suo modo violento di risolvere conflitti,  il suo calpestare da sempre tutto ciò che si frappone alla realizzazione e affermazione, ovunque, del suo modo di vita e della sua potenza.
Una bufera di neve fuori e una tempesta di odio dentro, il bianco fuori e il rosso dentro, la natura senza pietà ma anche senza crudeltà fuori e l’umanità annientatrice di se stessa dentro, Cristo crocefisso sotto la neve (prima inquadratura del film) fuori e la maschera di sangue sul viso della donna, concentrato dell’orrore e della violenza nichilista esplosa, dentro.


Secondo me è un film western a tutti gli effetti, se non diamo a questa categoria i limiti della classicità ma la lasciamo libera di includere anche forme che da essa si distaccano. Le tematiche e i personaggi della narrazione  sono proprie del contesto storico e sociale di quel genere. A differenza di Django Unchained, altro western del regista, non c’è il senso di liberazione finale, qui tutti uccidono e muoiono senza possibilità di riscatto e/o redenzione. Un film cupo senza eroi, che, allargando la prospettiva dall'America, contiene un'umanità intera carica di crudeltà e priva di pietà, di cui lascia intravedere l’autoannientamento.


Una perplessità sull’uso della rappresentazione della violenza però mi rimane, mi chiedo se non sia ormai un autocompiacimento sterile la cui reiterazione svilisce più che connotare il cinema di Tarantino, e che non sia diventato un richiamo per allodole che più che interessarsi ai contenuti del film lo guardano solo per gli schizzi di sangue e l’orrore delle scene più efferate.








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