Ava DuVernay, afroamericana già vincitrice al Sundance Film
Festival del 2012 per Middle of nowhere, ha diretto un film storico dove il
soggetto è quindi circoscritto dagli eventi che racconta, le marce, da Selma, Alabama, fino alla capitale dello stato Montgomery,
che, nel 1965, segnarono l’apice della lotta
degli afroamericani per poter esercitare il diritto di voto a loro riconosciuto
dal XV Emendamento della Costituzione nel 1870 ma di fatto osteggiato nel sud
segregazionista.
Selma, però, è molto di più, perché con la sua intensità
narrativa ci porta all’interno di un problematica mettendone a fuoco i vari
aspetti sociali e personali.
Inizia con l’assegnazione del Nobel per la pace a Martin Luther
King e subito dopo viene inserita una
potente e drammatica scena sulla bomba che membri del KKK fecero scoppiare in
una chiesa afroamericana uccidendo quattro bambine; si introduce così quale
fosse la realtà degli stati del sud degli Stati Uniti e come contrastasse un riconoscimento
così solenne, quale il Nobel, con la realtà del razzismo
e i livelli di crudeltà a cui arrivava, senza che le autorità federali intervenissero. Bastava uno sguardo, una parola
non gradita perché un nero fosse ucciso, torturato, bastava passare per la
strada per essere stuprata, bastava vivere per essere uccisi.
La figura di Martin Luther King è al centro del film, ma non
se ne dà una visione agiografica, è l’uomo che viene colto, conscio delle
proprie responsabilità di leader, assalito da paure e dubbi, teso nell’intento
di scegliere la cosa giusta per l’intera comunità che guida.
La tensione per King era anche quella di garantire la non
violenza da parte degli afroamericani, cosa difficile da realizzare perché significava non
reagire all'essere picchiati, a vedere donne, bambini e anziani colpiti dalla
ferocia della polizia e delle bande di bianchi armati e senza divisa che si
prestavano, ben contenti di farlo, al pestaggio dei manifestanti. Era, la non
violenza, una scelta morale ma anche un modo per far emergere la brutalità della
repressione e cercare di coinvolgere l'opinione pubblica bianca che non
condivideva il razzismo e le forme in cui si manifestava.
Controaltare a questa tipologia di comportamento non violento era rappresentato dalla dottrina di autodifesa armata di Malcolm X, che appare nel film in un breve frammento in cui incontra Coretta Scott King mentre il marito è in carcere. X era a Selma, il 4 febbraio, perchè sollecitato a partecipare dal SNCC, l'organizzazione non violenta degli studenti, a una conferenza organizzata dalla Southern Christian Leadership Conference e sponsorizzata dallo stesso King, ma anche perchè, nonostante le sue critiche al movimento del pastore protestante, era affascinato dalla costanza e dal coraggio della battaglia di Selma. Parlò a una folla di 300 persone lodando l'impegno di King, ma ponendo come alternativa, a un eventuale suo insuccesso, la sua tipologia di resistenza.
La figura di Malcolm è quasi evanescente nel film, nei pochi momenti in cui appare, il 21 febbraio sarebbe stato ucciso, fa immaginare un possibile avvicinamento tra i due leader, se non per condividere il metodo di lotta, per la costruzione di una stima reciproca. Si avverte anche in questo piccolo, ma, secondo me, intenso frammento, quale sarà anche il destino dello stesso King.
Du Vernay, ha girato un film reale e potente, in cui la descrizione degli eventi ha la forza della verità, nella sua crudezza e nella sua forza, in cui i semplici fatti sono arricchiti dai retroscena personali di tutti coloro che vi parteciparono, in cui la lotta per la giustizia ha lo spessore profondo delle sofferenze di ogni singolo partecipante; dietro ad ognuna di quelle persone che sfilarono da Selma a Montgomery, c'era una vita, delle aspettative, dei desideri, il diritto di esercitare la possibilità di essere una "persona".
Sono state mosse critiche alla regista per aver dato un'immagine negativa di Lyndon Johnson, ma da quello che mi risulta i fatti avvennero proprio così, e l'atteggiamento del Presidente fu esattamente quello descritto, e bene lo sottolinea King quando, sollecitato a rinunciare alle marce per evitare violenze, rispose che non era lui a dover fare un passo indietro ma lo Stato a doverne fare uno in avanti e garantire, una volta per tutte e per tutti, i diritti Costituzionali tanto decantati per tutti i cittadini americani ma osteggiati per la popolazione afroamericana, di ribaltare quello che di fatto era il segregazionismo: il non diritto di vivere per i neri e il diritto di non farli vivere dei bianchi.
Mi viene da fare un'associazione tra questo film e i libri di Richard Wright, uno fra tutti/e gli/le scrittori/ttrici afroamericani/e.
Un'immagine mi ha colpito e mi sento di segnalarla quale sintesi, quella in cui un poliziotto, che si prepara a respingere la marcia, avvolge sul proprio manganello del filo spinato.
Mi viene da fare un'associazione tra questo film e i libri di Richard Wright, uno fra tutti/e gli/le scrittori/ttrici afroamericani/e.
Un'immagine mi ha colpito e mi sento di segnalarla quale sintesi, quella in cui un poliziotto, che si prepara a respingere la marcia, avvolge sul proprio manganello del filo spinato.
Quello che segue è un filmato della terza marcia, quella che arrivò a Montgomery.
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