sabato 25 gennaio 2014

"Il capitale umano" dall'America all'Italia attraverso Virzì




Il Capitale umano è un film il cui spunto di riflessione é posto, come episodio, all’inizio del film e come conclusione annotativa alla fine, in mezzo sono i singoli personaggi a essere nuclei narrativi, uniti tra di loro da interconnessioni socio-economiche.

Si svolge in un ricco paese della Brianza, ville sontuose proteggono ricchi finanzieri,  villette spocchiose ne fanno da corte medievale, il degrado culturale è rappresentato dall’abbandono dell’unico teatro presente; è tratto da un romanzo, con lo stesso titolo, dell’americano Stephen Amidon le cui ambientazioni, naturalmente, sono negli USA e precisamente nel Connecticut, dando alle problematiche sociali e umane del film una connotazione più ampia e “globalizzata”:  il sogno americano ha travalicato l’oceano e ha inquinato il resto del mondo.

L’intreccio del film, articolato in parti che si sovrappongono l’una all'altra nella tensione di svelare la dinamica dell’accadimento iniziale, ci mostra un’umanità diversificata nei singoli protagonisti che, con ruoli e atteggiamenti diversi, vengono travolti da un sistema sociale basato sul consumismo, sulla ricchezza ottenuta  con la frode fiscale,  sulla monetizzazione dei desideri e delle aspettative delle persone, sulla secondarietà di valori quali la comprensione, l’onestà pubblica e privata, la solidarietà tra individui, sulla impossibilità di realizzazione personale al di fuori di schemi opportunistici  falsamente individuati come i soli possibili da un sistema educativo e culturale che ha perso cognizione dei valori della vita e della convivenza.

La “famiglia ricca”:
Il riccone, manipolatore finanziario di patrimoni e vite altrui, cinico, privo di empatia, di senso civico e di umanità, profittatore di ingenuità altrui per il suo unico tornaconto, gestisce la sua vita e la sua famiglia senza partecipazione ma elargendo frivolo benessere materiale.

La moglie, ex attrice, sembra fluttuare nella ricchezza inconsapevole di se stessa, insoddisfatta, incapace di vera autonomia, prigioniera della sua gabbia dorata, triste senza quasi sapere il perché.

Il figlio, adolescente potenziale alcolista, combattuto tra l’emulazione e la fuga, vive trangugiando alcool e trasudando rabbia, cercando affetto e comprensione al posto di soldi e indifferenza, ricercando un senso che riempia il vuoto esistenziale non solo presente ma anche  futuro.

La “famiglia media”:
L’immobiliarista, goffo nella sua ingenua sudditanza mentale al potere della ricchezza, si gioca tutto pur di entrare in quell'ambiente da cui, una volta dissanguato di contante, viene mal sopportato e trattato con sgarbo e sufficienza. Si ritrova ad avere il coltello dalla parte del manico nel momento drammatico e la doppiezza del personaggio si concretizza bizzarramente in una vigliaccata che ha comunque un onestà di fondo,  in un certo senso ristabilisce la realtà dei fatti e risana, anche se illegalmente, il torto subito senza richiedere nulla di più di quello che gli sarebbe spettato.

La moglie lavora nel sociale, sembra essere l’unica ad avere una vita veramente positiva, forse non felice ma con una buona dose di serenità, in pace con la propria coscienza e con se stessa; dà e riceve affetto e comprensione, si pone al di fuori dell’ingranaggio potere-ricchezza, gratifica ed è gratificata dai rapporti umani e dalla sua tardiva gravidanza, riuscendo a stabilire un rapporto empatico di affetto e complicità con la figlia del marito.

La figlia, adolescente in bilico sulla “linea d’ombra”, rifiuta un mondo di meschinità e falsi valori, capace di riconoscere l’autenticità delle persone, va al di là delle convenzioni e regole sociali pur di prendersi cura delle debolezze e fragilità di chi ama.

La “mezza famiglia”:
Zio e nipote  convivono, il loro ambiente è borderline, il primo è un piccolo malavitoso, il secondo un ragazzo che sconta drammaticamente i disagi  della marginalità che la vita gli ha riservato e, come spesso accade in questi casi, si ritrova vittima di un vortice che non gli permette una via d’uscita se non nel tentare la morte.

Il “capitale umano”:
Non è solo tutto quello descritto sopra in termini di potenzialità positive e negative, ma  è  il personaggio che apre il film ridotto in cifre, secondo un cinico calcolo monetario.


Il fraseggio del film è serrato, la narrazione è distaccata, non ammorbidita dalla speranza di un ripensamento globale, è quasi un’oggettiva trasposizione cinematografica del presente e, con le inevitabili  differenze, è fedele, come ammesso dallo stesso Amidon, al libro rispecchiandone nel merito e nello stile il contenuto.

Regia: Paolo Virzì
Interpreti: Valeria Golino, Valeria Bruni Tedeschi, Fabrizio Bentivoglio, Fabrizio Gifuni, Luigi Lo Cascio

4 commenti:

  1. Come sai, ancora il film non l'ho visto, ma ho letto diversi parere, anche molto contrastanti fra loro. Mi sembra che la tua recensione abbia una profondità che non ho riscontrato in altre. Brava, Maria, quando vedrò il film potrò confrontare le nostre impressioni.
    Milvia

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    1. Grazie Milvietta, aspetto che tu veda il film per confrontare le impressioni, cosa sempre utile per scovare nuove considerazioni e allargare il punto di vista,
      un abbraccio cara
      Maria

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    2. Ottima recensione, Maria. Ho visto il film ieri pomeriggio e ne sono rimasta molto colpita. Molto diverso dagli ultimi film di Virzì è una denuncia molto incisiva delle aberrazioni morali a cui ci stanno portando il consumismo e la crisi dei valori della nostra epoca. Il ritmo è serrato, privo di sbavature, trasmette angoscia, malessere, preoccupazione per il futuro. Si conclude con uno spicchio di speranza, i due giovani che in carcere si parlano e si sorridono sono l'unica possibilità per un futuro diverso... Luciana

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  2. Cara Luciana, grazie per l'apprezzamento e per il commento, fa piacere trovare riscontri su impressioni avute a proposito di qualcosa che stimola pensieri e riflessioni,
    un abbraccio :-)
    Maria

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